“Noi non siamo tornati e non ci siamo riuniti. Noi ‘siamo’ gli Area“. Dichiarazione orgogliosa, quella di Patrizio Fariselli, che in un momento storico di reunion in tutte le salse ci tiene a precisare la continuità temporale con l’epoca d’oro e soprattutto l’alterità degli Area rispetto a colleghi di ogni sorta. Alterità che fu la principale caratteristica nel pieno degli anni ’70 e che ancora oggi, in modi e forme differenti, contraddistingue la celebre formazione.

“Live 2012” è il punto d’arrivo di un percorso partito qualche anno dopo il 2000 – anno della scomparsa di Giulio Capiozzo – ma anche la ripartenza, sostenuta da un’incredibile ondata d’affetto del pubblico. Senza l’eccezionale batterista e la figura di Stratos, fuori da un periodo storico complesso ma stimolante, nessuno avrebbe puntato sugli Area; Fariselli proseguiva con le sue attività, Tavolazzi nel gotha dei più richiesti strumentisti italiani, Tofani tra ricerca spirituale, ritorno al mondo e tecnologia applicata alla musica: una sporadica rentrèe senese con Mauro Pagani nel 2009, una data a New York e Milano nel 2010, una nuova tourlist che sta toccando tante città italiane con crescente successo.

“Live 2012” è proprio un fermo immagine della dimensione che da sempre rende gli Area unici: il concerto. Quella ricca, lunga e pulsante sequela di live che contrassegnò gli anni ’70 prosegue tuttora, con un affetto e una dedizione da parte del pubblico davvero sorprendenti. Il primo dei due dischetti è una passerella di classici, rivisitati con ironia, disinvoltura e una personalità carismatica. E’ chiaro che l’assenza di Demetrio pesa come un macigno ma i tre non hanno voluto sostituti: al di là di un’azzeccata ospitata di Maria Pia De Vito in “Cometa rossa”, il repertorio scorre in modo godibile come si evince da “La mela di Odessa” e “Gerontocrazia”, esempi eccellenti di quel rock-jazz effervescente e composito che ancora oggi colpisce per la qualità.

“Live 2012” esce a 15 anni di distanza da “Chernobyl 7991” (1997), un lp snobbato ma molto interessante, al quale in parte si aggancia. Per capire meglio la direzione di questi “nuovi” Area, il secondo dischetto è illuminante: apparentemente meno incisivi dei brani storici e più vicini a un linguaggio avant-jazz, queste “geometrie” propongono un’ipotesi di jazz contemporaneo interpretato alla maniera degli Area, senza la prevedibile chiave fusion dei primi anni ’80. Tra improvvisazione (radicale ma mai inconprensibile) e affinità con Weather Report, Wadada Leo Smith e Zawinul Syndicate, queste composizioni fatte di incontri, spunti estemporanei e codici incrociati tra antico e futuribile rilanciano un’idea di vera e propria “musica totale”.

http://www.area-internationalpopulargroup.it

 

D.Z.