Arturo Stàlteri ha perfettamente incarnato il ruolo, la tensione artistica, la preparazione e gli orizzonti culturali del musicista progressive. Pur essendo uscito da questa corrente da tempo, il pianista romano espresse negli anni ’70 con i Pierrot Lunaire una compiuta connessione tra diverse anime musicali. Anche la sua attività solista, in costante passaggio tra colto e popular, ne è una limpida testimonianza.

Nel 1995 Arturo pubblicò per Materiali Sonori “Flowers”, una prima antologia dei suoi “piaceri”, tra brani originali e pezzi di Sakamoto, Debussy, Corea e Darryl Way. Una prima sistemazione di gusti, influenze e citazioni, che torna dopo diciassette anni con il secondo “Flowers”. A differenza dei “Fleurs” di Battiato – uno sguardo d’insieme sull’arte della canzone, quella leggera dei nostri anni ’60 e quella dell’epopea napoletana- i “fiori” di Stàlteri assecondano l’estrazione anticonformista dell’autore, capace di passare con disinvoltura dal rock progressivo alla forma sonata. Il nuovo disco conferma l’eclettismo di Arturo, che scruta ancora più indietro rispetto al primo volume: non solo all’amato Debussy del “Clair de lune” ma anche al classico.

Il classico nella visione di Stàlteri è composto dal “Tristano e Isotta” wagneriano nella versione di Liszt, da celebri pezzi di Schubert, Bach, Beethoven e Chopin ma anche dal miglior rock di due generazioni. Quello dei King Crimson di “In the court of the crimson king” e dei Sigur Ròs di “Takk…”, e nello specifico di “Hoppipolla”. In questa convivenza di generi diversi, di colto e popolare, al centro il pianismo limpido, emotivo, mai troppo distaccato e mai troppo partecipe, dell’autore.

Da segnalare anche due contributi originali – “The consciusness of Tao” e una nuova versione di “Scarlett” – che confermano, se mai ce ne fosse bisogno, lo sviluppo oracolare e concentrico della scrittura stalteriana.

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D.z.