Una copertina del genere – una leggiadra vestale con diadema lunare che, tra le nubi, affronta impavida un carro di tempestosi puledri – rimanda inesorabilmente al fantasy metal più ruspante; un nome del genere potrebbe essere candidato senza problemi agli Oscar dei monicker più improbabili; un titolo come “The ancient tale” va a competere direttamente sul terreno tutto muscoli e ugole squillanti di Rhapsody e compagnia bella.

Eppure i Fatal Fusion propongono un dignitoso progressive, di quella nidiata tutta scandinava che ha i santini di Jon Anderson, Peter Gabriel e Robert Fripp sul comodino, che non disdegna di tanto in tanto rievocare Deep Purple e Uriah Heep, che all’occorrenza ti stupisce con quella zampata melodica – magari zuccherosa ma efficace – tanto cara ai Flower Kings. Il quintetto norvegese arriva al secondo disco con uno scatto di maturità, ma senza accantonare il fascino dell’imperfezione, soprattutto nelle tre suite: è un prog-rock allestito secondo gli schemi più tralatizi ma, come accaduto per tanti colleghi di scuderia Karisma come i connazionali D’Accord, l’adesione al modello storico riesce bene e senza intoppi.

L’unico difetto della band è la prolissità: favoriti in tal senso dal modulo suite (vedi “City of Zerych” e “The divine comedy”), i Fatal Fusion spesso si perdono e indugiano senza giungere al dunque; un vizio genetico assai frequente in dischi del genere, dunque comprensibile e veniale, ma proprio per questo è doveroso lavorare al suo superamento. New prog epico e romantico, che non esce dal canone ma che ai cultori potrà donare persino qualche scossone.

www.fatalfusion.com

D.Z.