Alla stasi creativa che ha colpito i Djam Karet negli ultimi tempi risponde il nuovo progetto Herd Of Instinct. Il poliedrico Gayle Ellett da ospite è finalmente coinvolto come tastierista di ruolo nella band di Jason Spradlin (batteria), Mike Davison (chitarre) e Mark Cook (bassi). Insomma un quartetto rock, ma canonico solo in apparenza: HOI infatti immagina un art-rock del nuovo millennio, elettronico e pungente, sognante e ruvido, grato alle influenze che vanno da Robert Fripp a Steven Wilson ma con il baricentro spinto in avanti.

“Conjure” esce a poco più di un anno di distanza dall’omonimo debutto, il quale probabilmente aveva colpito di più per gli ospiti coinvolti (Jerry Marotta, Pat Mastelotto, Gavin Harrison, Markus Reuter) che per la reale consistenza dell’operazione. Stavolta HOI limita le collaborazioni di lusso solo a Colin Edwin (e in absentia ai samples di Steve Tibbetts…) e si concentra in modo rigoroso sulla propria personalità. Certo le atmosfere crimsoniane di “The construKction of light” si sentono ancora – penso a “Praxis” e alla febbrile “Brutality of fact” – ma la congerie di riferimenti rende tutto molto suggestivo.

Tra Laswell e Karn, il worldbeat, l’heavy e certo nu-jazz, “Conjure” suona anomalo, sorprendente ed enigmatico, favorito anche da durate brevi e una buona sintesi di idee, che trovano in “Alice Krige”, Solitude One” e la marziale “Vargtimmen” gli episodi più rappresentativi. “Dead leaf echo” incorpora raptus sabbathiani, “Mother night” è un graffiante dark sinfonico, “New Lands” uno spedito e muscoloso rock-jazz che trova nella distensione languida di “A sense of an ending” un degno contraltare: tutto in un lavoro accattivante, vario ma perfettibile.

www.herdofinstinct.com

D.Z.