Cavalieri con vessilli crociati in copertina, un titolo – “In Hoc Signo” – che rimanda ad antiche e sanguinose battaglie in nome di Dio, un nome inequivocabile: Ingranaggi della Valle. Bastano pochi segnali per capire quando si entra nel regno del progressive, la neonata band romana in questo suo esordio fa le cose in grande, mettendo subito in chiaro orizzonti culturali, ambizioni, prospettive.

Gli Ingranaggi sono un giovanissimo sestetto capitolino giunto al debutto con Black Widow, come sempre luogo ideale per accogliere sonorità dei tempi che furono: “In Hoc Signo” è un trionfo di prog all’italiana, quello remoto alla PFM/Museo Rosenbach/Quella Vecchia Locanda, quello più recente alla Nuova Era/Maschera di Cera/Bacio della Medusa. L’età della band fa venire in mente il recente exploit dei coetanei Unreal City: che musicisti così giovani siano già in grado di esprimere un linguaggio prog compiuto è un segnale interessante, complice l’autorevole lezione dei maestri dell’epoca, evidentemente ascoltati ed assimilati con amore.

Il concept ambientato nel 1097 mostra una band dotata e convinta: nonostante gli stereotipi lo sviluppo dell’opera è scorrevole, i brani alternano differenti registri e atmosfere, con la sequenza iniziale “Cavalcata/Mare in tempesta/Via Egnatia” e “Il vento del tempo” come highlight. L’impostazione di fondo, l’ampiezza strumentale, l’assenza di voci dominanti e l’equilibrio tra le varie componenti (vedi “L’assedio di Antiochia” e “Fuga da Amman” ma anche “Musqat”) ricordano da vicino le dinamiche della PFM. Non mancano gli ospiti: David Jackson e Mattias Olsson hanno interventi limitati ma preziosi. Le note dolenti non mancano ma si tratta di difetti ricorrenti in operazioni del genere: voce ancora imperfetta, assenza di una personalità forte, preferenza per la prolissità e non per la concisione.

“In hoc signo” non aggiunge molto alla storia del prog italiano contemporaneo ma presenta un gruppo con le idee chiare. Un debutto più che dignitoso.

http://www.ingranaggidellavalle.com

D.Z.