Il progressive rock ha da sempre avuto nella grandiosità delle intenzioni e dei risultati il principale elemento costitutivo, prova ne sono le suite e i concept album con i quali il genere ha cercato di nobilitare il rock, candidandosi come corrente colta, aristocratica ed evoluta. Nella maggior parte dei casi tali opere hanno guardato oltre il panorama rock, addirittura fuori dagli ambiti musicali, per confrontarsi con la letteratura, l’arte o la filosofia. Ecco perchè il nuovo disco dei Magenta incuriosisce subito: “The Twenty Seven Club” è un concept dedicato al club dei ventisettenni, ovvero le rockstar morte a 27 anni. Parliamo di Jimi Hendrix, Brian Jones, Janis Joplin, Kurt Cobain, Jim Morrison e il meno celebrato Alan Wilson dei Canned Heat. Un concept rock che guarda se stesso, che entra nelle pieghe più oscure della propria storia: tra discese negli abissi e gloria imperitura, tra fama e devianza, tra splendori e desolazione.

Disco chiaramente ambizioso, frutto di un lavoro pluriennale, “The Twenty Seven Club” vede alla batteria un drummer prezioso come Andy Edwards (Robert Plant, IQ, Frost* etc.) fortemente voluto dal polistrumentista Rob Reed: sei lunghi brani raccontano – senza entrare nel dettaglio cronachistico ma lasciando spazio all’evocazione, al simbolismo – le vicende dei divi rock morti tragicamente a 27 anni. I Magenta hanno sempre avuto dei livelli qualitativi molto elevati e questo sesto lp non solo è in continuità con i precedenti, ma rinforza con orgoglio una matrice prog-rock classica, lievemente stemperata nel disco precedente. New prog tirato al massimo ma con la costanza melodica, l’equilibrio tra le varie componenti e la “ventosità” (per usare un termine caro a Finardi ma quanto mai azzeccato in tale contesto) che rendono i Magenta una band inattaccabile – per quanto “conservatrice” – nel vasto panorama neoprog.

“The Lizard King” è una delle migliori rock-ouverture lanciate ultimamente, suite energica e coinvolgente con copiose colate melodiche (sempre eccellente la prova vocale di Christina Booth: lo zuccheroso è dietro l’angolo ma lei e la band non esagerano). Un’ipotetica fusione tra Yes, Renaissance e Genesis, i Magenta sanno dosare bene le classiche componenti del rock sinfonico: grinta, tensione, pathos, dramma e luminosità sono adeguatamente amalgamate in un disco che non aggiunge nulla di nuovo al genere ma lo presenta in modo impeccabile, come dimostrano le superbe “Ladyland Blues” e “Stoned”. Il DVD aggiuntivo, con la versione 5.1 del disco, il documentario e materiale video, dona un ulteriore motivo di interesse ad uno dei più ispirati e eccellenti album new prog degli ultimi tempi.

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D.Z.