Il primo nome che ti viene in mente sono i Brand X. Perchè i SoulenginE, nel muoversi – agilmente, con classe e senso della direzione – a cavallo tra jazz-rock e progressive, sembrano agganciarsi proprio al patrimonio di Jones e Goodsall. Ma ad ascoltare bene “Mind Colours” scopri che c’è molto di più, perchè rilevante è il passato di due membri della band. Fabio Mancini ed Ettore Salati li ricordiamo per la militanza nei The Watch: il primo ha anche all’attivo un impegno con la ELP Tribute Band e un’attività solista in area colta, il secondo si destreggia tra Alex Carpani Band e RedZen, ai quali in qualche modo si avvicina questa creatura.

C’è una buona dose di art-rock genesisiano/emersoniano nelle trame di “Mind Colours”: l’apertura sognante di “Third in line” è differente dall’impatto fusion dell’opener “Polheim”, la passeggiata canterburyana di “On the other side” si distanzia dallo spedito dinamismo di “No way out” ma ogni brano condivide lo stesso amore per il guitar-playing hackettiano, per l’imprevisto tipicamente progressive, per il lavoro di cesello tra incanti, pathos e velocità. Il gruppo ha fatto una scelta di fondo sulla strumentazione (spicca il parco-tastiere di Mancini) dosata con intelligenza e ama partire in medias res, evitando perifrasi tipiche del prog più indeciso: la superba “Rain flower” (il brano più rappresentativo dello spirito eclettico del gruppo), “Down the street” e “No rewarding” hanno dalla loro parte la rapidità, la sicurezza, la maturità di musicisti navigati.

Al tempo stesso anche per i SoulenginE si ripresenta il “vizio genetico” dei tanti gruppi che aprono il tessuto prog alle dinamiche fusion: talvolta si perde il filo del discorso e nonostante la band abbia una marcia in più per affiatamento ed eleganza, non è facile rinvenire una personalità definita. Ciò non compromette il valore di questo debut-album, pregevole e consigliato.

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D.Z.