Il pubblico rock più maturo ripone sempre grandi aspettative nei maestri, anche quando costoro sono intrappolati nel limbo di un'ispirazione che non arriva pìù. L'audience progressive è la più esigente in tal senso, anche perhè inguaribilmente orfana dei tempi d'oro. Proprio per questo motivo il nuovo progetto Squackett – Steve Hackett e Chris Squire – sortirà effetti simili all'exploit GTR dei due Steve – Hackett e Howe – a metà anni '80.

Se però quel progetto aveva nell'AOR all'americana il proprio punto di riferimento, il nuovo duo inglese ha differenti caratteristiche. In primis un evidente dominio hackettiano (complice anche il fido Roger King) che si traduce in eclettismo stilistico: è questa la traccia principale dell'opera, che segue pedissequamente le ultime sortite dell'ex Genesis, prolifico e produttivo più che mai. “A life within a day” nasce senza le finalità market-oriented di GTR, con il quale in realtà ha pochissimo in comune: Squackett è un divertissement di classe, carismatico e raffinato, una sorta di canto del cigno in un periodo storico che ha sfruttato a più non posso supergruppi e collaborazioni varie tra colossi.

Chris era al lavoro per il suo album solista, ha chiesto a Steve di suonare la chitarra, si è rinsaldata una vecchia amicizia e Squackett ha visto la luce: la naturalezza della genesi ha fatto sì che non ci fossero forzature e il disco ne è la riprova. Certo mancano pezzi memorabili ma “A life within a day” scorre piacevolmente tra episodi radiofonici, sontuosi brani rock dal sapore vintage (con tanto di drumming severo alla Bonham, courtesy of Jeremy Stacey dei nuovi Syn: vedi la title-track e “Stormchaser”), exploit acustici vecchio stampo (“Summer backwards”) e meditazioni melodiche di Squire come “Aliens” e “Can't stop the rain”.

Tra memorie e sprazzi verso il futuro, riflessioni e ironia, l'art-rock di Squackett è equilibrato e signorile, con un tocco di varietà al punto giusto. Di guizzi e zampate d'autore se ne trovano molti (i Rickenbaker di “Divided self”, le armonie vocali e gli incastri di “Sea of smiles”) ma manca quel “quid”, quella direzione forte, che un duo del genere avrebbe potuto (dovuto?) sfoderare.

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D.Z.