A vedere quella copertina – tramonto alle spalle, natura incontaminata, innocenza e turbamenti – si capisce già molto di questo nuovo progetto. A ricordarsi dell’esperienza dei nomi coinvolti – Jacob Holm-Lupo, Mattias Olsson, Tim Bowness – è ancora più nitida la direzione intrapresa. The Opium Cartel è un nuovo organico dallo spleen tutto nordeuropeo, retto su quell’intensità e quel pathos tipici del neoprog scandinavo, ma con un occhio aperto – anzi spalancato – sul sound anni ’80 caro alla 4AD, ai Blue Nile, ai Dead Can Dance e a certo synth-pop “ragionato” alla Talk Talk.

“Ardor” rivela subito umori e tentazioni, muovendosi intorno alle possibili connessioni tra eredità prog, distensioni dream-pop e pulsioni new wave. Un tentativo a suo modo originale e intrigante, sperimentato con successo nel debutto “Night Blooms” (2009) e ribadito ora. “Kissing Moon”, “Nothern Rains” e “White wolf” sono i brani che meglio riassumono l’intelaiatura generale: melodia diretta e immediata benchè avvolta spesso in arrangiamenti nebulosi e rarefatti, costruzioni art-rock ricercate ma mai troppo prolisse o eccessive, giochi vocali lievi e sognanti che lasciano spazio a percorsi strumentali (vedi la chiusura dilatata di “Mariner, come in”) dove voci come flauto e synth analogici dicono la loro.

“When we dream” piacerà ai nostalgici di Depeche Mode e Cocteau Twins, “Revenant” ai perpetui affamati di Genesis, Bowness aggiunge grazia e brume a “Silence instead”, un’inattesa cover targata Blue Oyster Cult (“Then came the last days of May”) aggiunge sorpresa all’opera. “Populist songs for elitist listeners”: mai dichiarazione programmatica fu più eloquente.

www.theopiumcartel.com

D.Z.