Ora che sono grande, sposato e ho anche una figlia, i miei possono saperlo: da ragazzo ho fatto tanti filoni. Per i lettori non campani: fare filone equivale a fare sega, fughino, fuoco, forca, puffi, insomma bigiare, marinare la scuola. Un’attività che necessita di doti specifiche: la sensibilità giusta nell’individuare il giorno adatto, la conoscenza dei luoghi alternativi alle temibili celle, ehm… aule scolastiche, la selezione di un’adeguata compagnia, il possesso di idee valide per impiegare con varietà l’intera mattinata. Quali erano le opzioni per noi filonari, soprattutto per gli habituè che avevano terminato le cartucce o per i vessati che non potevano contare sulla comprensione dei genitori? Luoghi doc erano la Villa Comunale, il tour delle chiese della città (ideale per i più timorati che altare dopo altare si pentivano del misfatto), il passo lento – ma lento assai, tartarugoso e pachidermico – a zonzo nei luoghi meno frequentati, il giro dei baretti a caccia dei videogame più avvincenti e durevoli, e poi i negozi di musica. Il luogo favorito dal sottoscritto…

Un giorno vi racconterò vita, morte, miracoli e long playing dei vari record store beneventani – pochi e neanche buoni – ma ora urge un ricordo. Alla Casa del disco al termine di Viale Mellusi – dove c’erano i tre scalini da salita al tempio del rock – una grigia mattinata di ottobre 1992 avvenne la mia iniziazione al prog. Il filone del giorno mi portò a comprare tre titoli decisivi per la mia formazione musicale: Le Orme, Felona e Sorona e Gioco di bimba su cassetta, In concerto su 33 giri. A dire il vero ascoltavo già progressive, ma in modo poco convinto e all’interno di una serie di scoperte continue che comprendevano AC/DC e Santana, Elio e le Storie Tese e Deep Purple, Iron Maiden e Chet Baker, fino a Marillion e King Crimson, che conoscevo e apprezzavo ma alla stregua degli altri. L’acquisto personale – possibile non grazie alla proverbiale paghetta (what is this?) ma al fruttuoso mercatino privato di compravendita di nastri e vinili… – fu ispirato, motivato e convinto. Anche perchè avvenne in una mattinata segreta, nascosta, esoterica, che contribuì decisamente a farmi sentire “mio” quel genere.

Ormai avvezzo ai mercatini occulti di musica che privatamente pullulavano in provincia, ricordo che diedi in cambio a Ughetto Just say Ozzy e ottenni Genesis Live, annata 1973. Ci pensavo proprio sabato pomeriggio, quando a due centimetri da me c’era Paul Whitehead. La fortuna del mio mestiere è che riesci a incontrare tuoi miti personali, a parlarci alla pari – non da berretto verde del vinile a caccia sanguinaria di autografi – e di capire tante cose al di là del facile aneddoto. L’incontro con il grande pittore alla mostra Rock!3 – siano benedetti Michelangelo Iossa & Carmine Aymone per l’iniziativa e la tenacia – è stato un momento storico, ma a me piace raccontare i risvolti meno ufficiali. Nella turbolenta fila per le immancabili firme sui vinili di Genesis, Van Der Graaf Generator, Peter Hammill e Orme, un ragazzetto si avvicina timidamente a Mr. Whitehead per ottenere l’ambita sigla di Testabianca sul vinile di Foxtrot, Paul incuriosito gli chiede quanti anni ha, il ventenne gli rivela la sua età e anche la provenienza del disco: sua mamma ascoltava Genesis, Pink Floyd e Bob Marley, il ragazzo ha la vita e le orecchie marchiate a fuoco.

Bella storia il progressive, ma c’è da stare attenti: lo dico spesso ai giovanissimi che parlano di Yes e King Crimson con le fiamme negli occhi. Il piacere della scoperta prima o poi finisce, tenerlo vivo significa anche saper andare a caccia di altre musiche, anche perchè il prog gira che ti rigira stanca facilmente. Ne è passato di tempo – un ventennio di ascolti e scritture da instancabile officina di note e parole – da quell’acquisto del 1992, e oggi quando mi avvicino al prog non riesco più a provare sensazioni di stupore. Un tempo questa musica era per me come il porto delle nebbie di simenoniana memoria: un punto d’arrivo e di ripartenza, nel quale tante anime e tanti elementi erano sfumati, indistinti, indifferenziati, e nella caligine toccava a te andare a cercare le identità. Oggi è come un porto sicuro, proprio per questo tanto noioso. E se devo scegliere tra porti sicuri, preferisco quello mutevole mattina dopo mattina delle mie preziose colazioni rock, quando posso cazzeggiare ascoltando Baby snakes e leggiucchiando aneddoti su James Hetfield nasando il profumo fumante di un buon caffè. Titties and beer for you all.

Snakes, titties and metal 18 febbraio