Strana giornata. Strana davvero. E’ come se fosse saltato ogni riferimento, come se tutto fosse sballottato, sfilacciato, esploso in tanti frammenti poi ricondotti ad unità in un ordine diverso dal precedente. Stamane nella mia consueta puntatina da Borri Books alla Stazione Termini – come sempre guidato dai diavoli elettrici che in libreria si mostrano puntualmente dei palati fini – arrivo dritto dritto alla navata Adelphi e prelevo il Taccuino di Talamanca di E. M. Cioran. Probabilmente ce l’ho già, sarà a casa disperso nei vortici di qualche libreria buco nero, ma mi ha chiamato e devo rispondere. Spalanco e leggo: “Nell’ordine dello spirito, ogni produzione priva di necessità è un peccato contro lo spirito. Lo scrittore in quanto tale si trova in stato di peccato mortale”. Minchia.

Strana giornata. Treni velocissimi tipo palline di flipper mi hanno fatto rimbalzare in poche ore tra Benevento, Roma e Foligno, dove sono ora avvolto – se non tramortito – da una coltre di silenzio. Vagoni rapidi e scattanti, ma mai come i miei occhi, senza freni senza guinzaglio senza soluzione di continuità, tuffatisi tra pagine e pagine con la stessa sete di scoperte che avevo da ragazzo quando passavo dai Genesis ai Deep Purple, da Ivan Graziani ai Metallica. Un unicum spazio temporale in loop da ieri sera: mi addormento dopo aver finito il tenero Un peccatore innocente di Laura Mancinelli, mi sveglio e sono già in treno a divorare un succulento Domenicale del Sole 24 ore, risalgo dopo aver pregustato il nuovo Cioran e sbocconcellato Gli archetipi dell’inconscio collettivo di Jung, scendo a Foligno ed entro in un boato. Silenzi, marciapiedi e viuzze come pianure senza suono, una chiesa spalancata in un pieno pomeriggio che altrove sarebbe assolato e accecante, una camera singola in una ruga di strada e su di me una riga di cielo già grigio, e dire che stamattina c’era una primavera elettrica tutta scariche zeppeliniane.

Stasera suonano i Balmorhea: il rock da camera – mesto concentrico minimale nebuloso – della formazione texana dovrebbe essere l’ideale decompressione per il trottolamento sui binari di questa giornata travolgente. Il loro ultimo album Stranger mi ha stregato dal primo ascolto, emozionandomi: per chi fa il mio mestiere, trovare un disco che smuova dentro, che accompagni l’uscita di antiche sensazioni sopite, che scuota la saporita sequela “apperò-nientemalequesti-fammeliriascoltare”, non è cosa da poco. Questa piacevole rivoluzione mi trovò pronto con la scoperta di The Shepherd’s Dog di Iron & Wine, il dissotterramento di Pacific Ocean Blue di Dennis Wilson, la ritualità di Spiritchaser dei Dead Can Dance. Ma c’è silenzio a Foligno, meglio placarli questi bollori di vecchie memorie sonore. Domani sera a Livorno non troverò le stesse nebbie. Est modus in loco, d’altronde.

Che gioia il mio recente transito livornese. Come dimenticare l’ultimo incontro con i Tugs: gente della vecchia guardia, che arriva allo strumento perchè c’è roba importante da dire, che materializza i propri desideri in un lp – e non dico album, disco, opera, lavoro: dico proprio ellepì, beware the vinyl – che finalmente sta per arrivare. La volta scorsa si era tutti in studio per assaggiare qualche spizzico di nuovo ellepì, poi a sera tarda in riva al porto per la solenne prova collettiva di fronte allo stereone dell’auto a porte spalancate: quella macchina gonfia di musica, al centro di un circolo iniziatico dal cuore altrettanto gonfio, sarà difficile da dimenticare. Ma c’è silenzio a Foligno. Scende mesta la sera, riapro Cioran:
“Nel cuore di ogni notte, si apre per me un baratro”.

Silence in Foligno 24 marzo

D.Z.