Le farfalle scelgono i vetri anteriori delle auto per spiaccicarsi, i gatti si scaldano sui motori appena spenti, Lemmy fa i gargarismi da purcello col Jack Daniels, i saggi costruiscono paesini su schiene d’asino tra

le montagne. Insomma, Homo faber ipsius fortunae, bestia etiam… A proposito di paesi, questa due giorni di viaggio appena trascorsa è passata nella totale ammirazione di opere di ingegno umano come i borghi del Cilento interno, verso la Basilicata. E dire che siamo in piena Salerno-Reggio Calabria, quindi parlare di ingegno umano è un tantinello fuori luogo. Però vedere chilometro dopo chilometro spuntare da una curva un pugno di case arroccate su un cuneo di roccia, su uno sperone che giri di qui e sembra un dente, giri di là e ti ricorda il “triangolino che ci esalta”, è il massimo. Soprattutto se dimentichi la cava che vedi all’angolo seguente: l’uomo è capace di mordere e sventrare madre pietra, fiero di scaloni e pavimenti in caseggiati dormitorio, di polveri sottili allegramente svolazzanti. Chissà se i paesini sono stati disseminati a caso sul territorio, o se dietro c’è un arcano disegno: prossimamente li squadrerò in volo dall’alto, unendo i puntini.

A questo giro niente musica. Un momento: niente musica dallo stereo o in cuffia, perchè la musica poi c’è sempre. “Io sono nato nella musica”, disse il prof. De Natale nell’ottobre del 2007 in una Venezia sempre magica, bigoli, cicchetti e note senza definizioni. E il sottoscritto nella musica ci sguazza con fare a dir poco suino: come ogni essere umano ci è nato, dalla pulsante ciclicità del liquido amniotico è spuntato fuori, nelle armonie celesti che ogni neonato – spiritello appena incarnato – ha ancora nelle orecchie ha preso ispirazione per il suo miglior libro, che detterà un giorno lontano insieme alle sue ultime memorie. Direzione Senise, Valle del Sinni, Parco del Pollino, Potenza, vecchia, gloriosa e montuosa Basilicata. Che nomi poi: Castelsaraceno, Seluci, Episcopio, Chiaromonte, roba che se fosse ancora vivo Jung toccherebbe interpellarlo per capire perchè si scatenano tante risonanze nel profondo del profondo. Motivo del tour: La musica che gira intorno, incontro con il sottoscritto e con i suoi libri, chez Nicola Melfi, Radio Senise Centrale mastermind. Piccoli grandi orgogli di un Meridione “altro”, quello di Radio Città BN e BMagazine, di AXA a Campobasso, del Fasano Jazz, di Sieti House e della mostra Rock!. Il Sud di cui essere orgogliosi, quello che soffre combatte e bestemmia, che si lamenta giusto un cicinin ma senza strafare con il vittimismo, che ha un pizzichino di narcisismo dentro un bastimento di genuinità. Sono incontri e scoperte che rallegrano anche un ermafrodita geografico come me, meticcio picentino-monferrino senza radici: il mio 50% terrone esulta, la metà polentona assiste compiaciuta, con aristocratico distacco.

Battisti, Baglioni, il progressive, la scrittura, fare radio e divulgare la buona musica: si parlava di questo insieme a Nicola ma il pretesto era un altro. Conoscersi. Specchiarsi. Scoprirsi. Riconoscersi. Per la serie: ci si annusa da lontano e si scopre che, nonostante la distanza di geografie, vite, mestieri, esperienze e pensieri, le buone e benedette abitudini musicali sono le stesse. Rollane un’altra Sam, e cambia facciata. Si è parlato solo di musica ma, dietro la fiammeggiante sequela King Crimson-XTC-Battiato-Joni Mitchell-Grateful Dead-Formula 3 fatta di lampi negli occhi, brividoni e lucciconi, pelle d’oca e ammiccamenti vari che solo noi che siamo nati nella musica, c’erano due mondi che si incontravano. E anche due belle forchette, messe alla prova con il celebre Zafaran’ crusc: non vi anticipo nulla ma sappiate che la panza ancora gioisce intrepida. E anche l’ego, visto che mi è stata affibbiata una somiglianza per niente scomoda con il Robert Fripp del 1973. Ommammamia.

Quando si è “collezionisti di brave persone” ci si allontana per un paio di giorni dalla famiglia, si macinano miglia su miglia, si parla ad un pugno di signori per una mezzoretta, si vende un solo libro, si chiacchiera fino a notte fonda accantonando il richiamo del letto e mettendo a tacere il chiacchiericcio della stanchezza, perchè la voglia di seminare qualcosa in un posto lontano, sperando di raccogliere – e far raccogliere ad altri – in un futuro remoto, è travolgente. Poi torni in albergo, ti affacci di nuovo alla finestra, nel buio punteggiato di lucine tremolanti ipotizzi il profilo di contrade lontane, un tempo abitate da grandi antichi che erigevano borghi su alture baciate dal sole, ti specchi e mediti su te stesso: dietro la facciata nera come i Magma, rugosa e stempiata di un ragazzo che realizza ancora una volta di non essere più tale, pensi che nascere proprio laggiù, nel centro della musica, è una dolce maledizione.