Quando Peter Gabriel dichiarò che il progressive aveva perso di vista la componente del ritmo e della fisicità colse un elemento cruciale, una 'diminutio' che ancora oggi colpisce moltissime formazioni di area prog. Memori di tale lezione, i Nohaybandatrio puntano tutto sull'impatto, sulle sfuriate della cultura hardcore così care ai Mars Volta, sul nervosismo di quel rock-jazz che si muove subdolo ai confini progressive.

Il trio romano sa frullare anime e influenze – funk e math-rock, noise e svisate Canterburyane – grazie allo strumento peculiare dell'improvvisazione. Rispetto ai colleghi di etichetta Neo – che nell'ultimo disco hanno lavorato molto sulla scrittura – i Nohaybanda mirano alla composizione estemporanea e confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, la tipica attitudine nell'innalzare muri sonori frantumandoli immediatamente, spaziando tra Zappa, King Crimson e Ornette Coleman.

Un gioco di stop & go, chiari e scuri, ritmi serrati e deviazioni improvvise anima questo terzo lavoro. Se il segreto del trio è l'aver capitalizzato le numerose collaborazioni dei singoli (dal jazz contemporaneo all'avanguardia estrema), nella seconda parte del disco la partecipazione degli special guest Francesco Bearzatti, Giovanni Falzone, Massimo Pupillo ed Enrico Gabrielli non è uno specchietto per le allodole ma un ulteriore contributo alla varietà policromatica della band, forsennata in “HC”, ossessiva nel funkone “Tonino Hardcore, Tonino Rock & Roll” e minimale in “Banchetto di nozze”.

Brani del calibro di “Harpya”, l'ultranoise di “Mr. Bedeker” e la superba “Led Zep” sono minacciosi e rarefatti, furiosi ed estatici: il susseguirsi di intrecci a base di groove e sorprendenti cambi di registro rende i Nohaybandatrio tra i migliori interpreti del jazz-rock europeo.

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D.Z.