“Buone cose di pessimo gusto”. Credo che la definizione di kitsch più efficace sia proprio quella di Guido Gozzano, che consapevolmente o meno è stata accostata tante volte ai gruppi progressive, in particolare quelli delle generazioni più recenti. Non che i Taproban siano kitsch, ma l’estetica rock dal post-punk in avanti ha respinto in toto i possibili accostamenti tra rock e aree di interesse extra musicale (dalla filosofia all’arte pittorica): con il risultato che se oggi un gruppo propone suite, concept e opere rock, la condanna è dietro l’angolo.

I Taproban sono una band che ha nella sua genesi – nel suo DNA musicale e ideale – un’implicazione concettuale forte, ma è anche vero che è uscita allo scoperto solo quando ha avuto qualcosa di significativo da dire: il disco d’esordio ispirato al Bosco di Bomarzo, il successivo alle vette spaziali, il terzo ai fondali marini. E ora, a conclusione della tetralogia, il riferimento all’elemento del fuoco passa attraverso un inquietante plot dedicato al “marchio della strega”. L’assenza di una continuità forte porta a frequenti cambi d’organico (accanto al fondatore Gianluca De Rossi arrivano il bassista Roberto Vitelli e il batterista Francesco Pandico) e alla necessità di rivedere l’impianto sonoro di volta in volta: ecco perchè ogni disco dei Taproban è a suo modo una ripartenza, lo stesso “Strigma” non è da meno.

I tre lunghi pezzi che lo compongono si caratterizzano per un’adesione mai così orgogliosa alla formula keyboard-trio tra ELP, Goblin e Triumvirat, con un clima da tregenda tanto caro ai King Crimson del 1973. Il periodo di pausa ha fatto bene a De Rossi e soci, che sfornano un disco messo a fuoco, nel quale ogni componente ha il giusto peso in un’opera strumentale (la sola “La porta nel buio” riserva momenti cantati) organizzata con cognizione di causa, nella quale le chitarre entrano in gioco in funzione “coloristica”, lasciando il proscenio a totale disposizione del parco-tastiere (vedi il tour-de-force di “Lo sguardo di Emily”). I riferimenti ai numi tutelari del trio sono spesso palesi (la fuga al centro di “Nesia al notturno congresso delle streghe” sa davvero molto di Genesis, l’inquieta aria finale di “La porta nel buio” rimanda a “Darwin”) ma “Strigma” è un quarto album solido e dignitoso, da segnalare in particolare ai cultori del rock sinfonico keyboard-oriented.

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D.Z.