Non mi dispiace affatto immergermi nelle autobiografie rock. Nella maggior parte dei casi sono prive di quell'approccio “scientifico” così utile alla ricostruzione dettagliata della vicenda creativa di un artista o una band, ma la discesa in quel guazzabuglio di usi e costumi tipici del 'rock 'n' roll circus' resta sempre delizioso. Nella maggior parte dei casi c'è enfasi celebrativa (ad es. Due volte nella vita di Franz Di Cioccio o Lucky Man di Keith Emerson) oppure abbondano le pretese intellettualistiche (vedi il nocenziano Sguardi dall'estremo occidente), che nel contributo di Tony Iommi fortunatamente mancano, in favore di un approccio più “modesto” ma sincero.

Da una parte, il deus ex machina dei Black Sabbath non ha manie autoreferenziali e riconosce il ruolo dei numerosissimi compagni di viaggio – da Ozzy a Glenn Hughes passando per Geoff Nicholls e Vinnie Appice – pur lasciandosi andare ad aneddoti non molto edificanti. Non c'è grande accortezza al dettaglio musicale ma il racconto della genesi dei dischi sabbathiani, proveniendo da colui che ne fu massimo artefice sia nella scrittura che nel making of in studio, rivela elementi interessanti.

Dall'altra parte non mancano quegli atteggiamenti tipici di ogni autobiografia rock che esplodono nei racconti – invero assai particolareggiati… – delle abitudini droghereccie del carrozzone rock. I Sabbath ne hanno combinate di cotte e di crude e lo 'storytelling' raccolto da Lammers non ne fa mistero, tuttavia le rivelazioni sulle malefatte dei vari manager gettano un'ulteriore luce sulle frequenti vicende di gloria e decadenza delle rock band. Peccato che sua maestà del riff non abbia approfondito ulteriormente il suo rapporto con la chitarra, confinato a qualche racconto (ad es. l'incidente che gli mozzò le falangi della mano destra) e non ad un'autoanalisi che sarebbe stata assai gradita.

Iommi ha un modo di raccontare affettuoso, in modo particolare nei confronti di vecchi amici come Bill Ward e John Bonham, e soprattutto nei riguardi del compianto Ronnie James Dio. Iron man contribuisce alla ricostruzione della vicenda sabbathiana e rappresenta un buon contraltare di Io sono Ozzy, anch'esso pubblicato da Arcana e molto più interessante rispetto a quell'autentica idiozia di Chiedilo al Dr. Ozzy.

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