Era il 2006 e furono una bella scoperta: Vieux Carré. Una formazione perugina dedita a un progressive di innovazione e tradizione, in bilico tra la ricerca di una propria personalità e il dovuto rispetto ai grandi del genere, in particolare italiani. A sei anni di distanza, in un panorama musicale e discografico che in poco più di un lustro ha subito profondi cambiamenti, i VC tornano come se nulla fosse successo, forti di una visione pura e orgogliosa del nuovo prog.


“Eteronimie” è un bel secondo album che mostra una raggiunta maturità e valorizza, perfezionandole, le buone intuizioni del predecessore “Gli spiriti i corpi e le menti”. A differenza del retro-prog così attaccato al feticismo vintage, i VC evitano l’estetica dell’analogico a tutti i costi per puntare a un prog moderno, puntuale nelle reminiscenze del passato ma non così vincolato agli anni d’oro, come facevano i tedeschi High Wheel o, più recentemente, i nostri Filoritmia e Akt.

Al di là dei riferimenti a PFM, Banco e Gentle Giant, i VC colpiscono per la natura dei brani: pezzi di durata mai eccessiva, focalizzati con particolare attenzione sull’elemento testuale – rifinito, colto, evocativo, con richiami da Pessoa a Bill Evans passando per Praz – ben interpretato da Marco Rambaldi, che del prog coglie in pieno l’enfasi teatrale. Stimolante anche il concept sugli eteronimi, in un gioco di identità, maschera e apparenza che trova buona sistemazione grazie all’ampiezza del contributo strumentale e al polimorfismo della composizione, come conferma “Praz!” e “Ramo di lillà”.

Episodi epici e affascinanti (“Terra nova” e “El Gabal”), incisive danze rock (“Relegazione” e “Il cardine storto”) e una convincente ispirazione rendono “Eteronimie” un disco assai piacevole. Non mancano difetti, incertezze e una certa pesantezza narrativa ma è un gradito ritorno.

http://www.vieuxcarre.it

D.Z.