Non ho ancora testato seriamente queste Mizuno, comprate cinque anni fa in vista della prima liberazione post Covid. Avrebbero dovuto sostituire in maniera immediata e vigorosa le gloriose Nike con le quali inaugurai, a fine maggio 1995, la mia piccola storia di podista. Nike slacciate spellate scuoiate sventrate in trent’anni di sudato servizio.
Non le ho ancora impiegate per bene perché ricominciare dopo una pausa non è semplice quando si hanno rapporti conflittuali con il rigore e la disciplina necessari per lo sport. Stamattina presto le ho riprese, spinto dal desiderio di riattivare un antico rito, da sempre necessariamente solitario e silenzioso, una meditazione in movimento.

Da quanto tempo. E che bella e tonificante riscoperta la memoria del corpo. La mente inganna e la vista tiranneggia, ma la combinazione fiato-gambe non tradisce perché custodisce come un’impronta interiore, un calco profondo nella materia di respiro e carne. Basta mettere in fila un paio di passi e tutto si riallinea, dritti ed elastici, con un ricordo intimo adrenalinico.

Se non erro il titolo iniziale di un disco di Max Fuschetto era Sulla Linea. In copertina c’era un giovane corridore, fotografato nel pieno della sua falcata volante. Successivamente il titolo cambiò in Mother Moonlight, più lunare – magico e materno, il potere della M. Sulla Linea sprigiona un altro immaginario. Evoca la tensione dell’attesa, una molla tirata fino allo scatto in avanti, il colpo nel tempo, la cometa di muscoli. La Linea è anche quella del ritorno. Il viaggio dell’eroe, il monomito. Quando si è rimessa in moto la complicità con la propria macchina e non si desidera che una perenne partenza.