Dico spesso che la musica mi ha salvato la vita.
Fuori dalle banalità di discorsi del genere, la musica mi ha consentito di affinare una dote speciale: l’ascolto.
Il progetto che più mi ha colpito alla Biennale di Venezia è stato – insieme a Materiae Palimpseste dell’amato Marocco – Assembly (Irlanda). Indagando sui rapporti tra spazio architettonico e partecipazione collettiva, il padiglione irlandese ha proposto una installazione multisensoriale: assemblea come luogo di aggregazione ma anche come costruzione di confronto, dibattito e comunicazione, partendo dalla sperimentazione – difficile, insidiosa – nel quotidiano, solitamente becero, primitivo, stereotipato.
La combinazione tra materiali, geometria e acustica mi ha ricordato un’antica pratica dei Nativi Americani: il bastone parlante. Ci si riunisce in cerchio, con un bastone sacro al centro, che viene preso da chi ha qualcosa da dire e tenuto in mano fino al termine del discorso: solo rimettendolo al suo posto, il prossimo può prenderlo ed esprimersi. Ritualità, assenza di interruzioni, circolarità. Un altro punto di vista dialettico.
Ascoltare, ma ascoltare seriamente e profondamente, è sinonimo di sentire, pratica che coinvolge l’interezza della persona – pori pelle pancia cuore testa echi memoria orizzonti costellazioni. L’ascolto vero passa per l’accettazione delle proprie lacune, dei difetti, delle imperfezioni. Solo facendo spazio l’altro entra.