Il taglio che nel corso degli ultimi anni AltRock ha dato alle sue produzioni è prevalentemente strumentale. Spaziando tra le varie direzioni dell’avant-rock, sia esso vicino al rock da camera o all’eredità RIO, l’etichetta milanese ha prediletto progetti concentrati su quelle forme di connessione tra rock e musica colta del ‘900 care a gruppi come i Thinking Plague. Proprio dalle fila di questa eccellente band statunitense proviene Dave Willey.

Nato nel 1963, vissuto prima in Oregon, poi in Colorado e anche in Repubblica Ceca, Dave ha avuto modo di spaziare tra diverse aree musicali, entrando nei Plague al suo ritorno dall’Europa e militando anche negli ottimi Hamster Theatre. Tutta la sua esperienza emerge in questo album solista nato dalla scoperta delle poesie del padre Dale, morto nel 2001, raccolte in “The Tin Box Papers and Other Poems”. Un album in parte diverso dalle pubblicazioni AltRock, visto l’ampia componente vocale.

Radunati ospiti come il compianto Hugh Hopper e partner storici come Mike Johnson, Dave Kerman e Deborah Perry, Dave allestisce un lavoro intrigante e mutevole, proprio come i temi e le atmosfere delle liriche paterne, che si avventurano tra il riflessivo e il tempestoso. Anzi queste rappresentano non solo lo spunto creativo iniziale ma anche il timone: il vario ensemble, orientandosi naturalmente alla congiunzione classico-rock-folk teatrale cara agli Hamsters, lavora molto su questo versante evitando quelle derive cervellotiche sulle quali il genere spesso si avvita.

“Too much light”, “The conservatives” e “Winter” sono gli atti più interessanti di un’unica grande, visionaria ed eccentrica suite, che non dispiacerà agli amanti più curiosi di certo alt-folk minimale, rispetto al quale Willey fornisce una scrittura “europea”, tra Slapp Happy e Opus Avantra. Disco fascinoso ma privo di quel “quid” che dà anima e forza ai dischi delle band madri.

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D.Z.