Lo confesso: ultimamente il modello hard-progressive, soprattutto quello a tinte fosche e tematiche esoteriche, mi ha un po’ stancato. Gli manca la fantasia, il gioco dell’imprevisto, la capacità di alternare potenza e dramma, durezza e deviazioni, vigore e sorprese. Con tutti i limiti di un progetto molto ingenuo, il debutto dei Compagni di Baal comincia a farmi ricredere.

Sarà per quel nome che rievoca antiche visioni in bianco e nero, quel “Les compagnons de Baal” che quelli della mia generazione hanno potuto solo riscoprire anni dopo, sorridendo per l’approccio naif, tremando per la patina di mistero. E’ all’inquietudine transalpina di quell’enigmatico sceneggiato che si muoveva tra occulto e fantapolitica che si rifà la giovane band, aiutata per questo disco d’esordio dall’Impero delle Ombre, probabilmente la band principe di questo genere negli ultimi anni.

Hard rock aperto alla lunghezza del progressive, alle atmosfere morbose del dark, ai giri ipnotici e vorticosi della psichedelia. A cavallo tra Deep Purple, Wishbone Ash, Led Zeppelin e Uriah Heep, il quartetto punta sull’energia e su un impeto “epico”, e pazienza che riffoni travolgenti come quello di “L’orrore che abita in me” assomiglino ai Wolfmother, il risultato è comunque piacevole. Il quartetto lavora su alcune componenti essenziali: il riff quadrato come asse portante, l’organo che alleggerisce e alimenta la tradizione progressive, l’assenza di vincoli e confini precisi, l’apertura a varianti come la ballata macrabra (“Icolanibai”) e il respiro teatrale e stralunato (“Tra potere e libertà”).

“Oltre la luna” e “Sepolto sotto un cielo” sono i brani-manifesto di un album che ha delle pecche (prevedibilità, scarsa personalità) ma che gli amanti dell’hard “evoluto” apprezzeranno di sicuro.

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D.Z.