Al termine di una intensa giornata di lavoro, una riflessione sul rapporto uomo-macchina.
Anima Meccanica, regime Kraftwerk.

Da qualche tempo ho scoperto che la mia macchinina, che è una versione un po’ più evoluta della 313 di Paperino, non risponde ai comandi. O meglio, prende iniziative non richieste: il clacson suona da solo. Quando meno te l’aspetti, l’auto spara clacsonate in autonomia. I risvolti relazionali sono a dir poco imbarazzanti.

Un autista comune avrebbe subito portato il mezzo dall’elettrauto. Io invece sto indagando nella vita psichica dell’organismo metallico con la stessa destrezza di Totò e Peppino alle prese col trattore – “Ah, guarda la zanzariera, per non fare entrare le zanzare nel cruscotto!” “Questo è tutto l’apparato meccanico-movimentale”.

Un primo esito dell’indagine ha portato ad alcuni dati statistici, una casistica minima di base.
La macchina suona da sola in momenti ricorrenti:
1. Nelle curve a gomito;
2. Quando davanti c’è una macchina che va piano – ma in quei casi solitamente rumoreggio anche io;
3. Quando incrocio signorine che fanno jogging – chissà quante accuse di catcalling mi pendono sulla testa;
4. Quando attraverso il mercato il martedì mattina;
5. Quando riparto dopo aver accompagnato Federica a scuola – una volta il bidello mi ha pure salutato sbracciandosi;
6. Nelle ore più delicate e intime della notte;
7. Quando c’è gente in giro e dentro di me imploro “non suonare, non suonare”.

Fino ad ora non ha mai clacsonato in mia assenza, dunque richiede la presenza umana al suo interno, sarà un fatto di punto G meccanico. Ci sono poi episodi isolati che non entrano nell’elenco. Ma mai e poi mai, nonostante glielo abbia chiesto tante volte, suona quando Grigetta sale per salutarmi.