Metà oscure e cuori pedoni. E al centro, il dramma dell’identità. Pur facendo parte della medesima temperie sonora e culturale, quella della prima metà degli anni ’70, è difficile accostare e considerare simili o affini due album come The Dark Side Of the Moon e Pawn Hearts. Lussureggiante, diretto e patinato il primo, aspro, doloroso e visionario il secondo. Eppure un elemento in comune c’è: l’indagine e l’introspezione sull’essere umano. Due libri approfondiscono questa componente.

Il primo è The Dark Side Of The Moon. Viaggio nell’identità dei Pink Floyd (Aereostella) di Marco Bracci. L’autore toscano – che abbiamo apprezzato tempo fa per Da Modugno a X Factor – parte da un osservatorio privilegiato: sociologo della comunicazione (ma anche appassionato cultore di classic rock), Bracci guarda a Waters e soci in una fase speciale di ridefinizione della propria identità di gruppo, in pratica dall’uscita di Syd Barrett. Egli dunque ripercorre il tragitto che porta i PF dalle sperimentazioni psichedeliche dei primi anni ’70 al sontuoso concept del 1973, analizzando compiutamente premesse e conseguenze del celebre plot sull’alienazione. Bracci si muove intorno alla metà oscura, considerata il punto di snodo e la chiave di volta di un’intera carriera, sia dal punto di vista strettamente musicale che concettuale: un saggio originale, che chiarifica alcune posizioni anche ideologiche che il Waters maturo approfondità.

La solitudine, i demoni interiori, i conflitti nelle profondità dell’animo, la desolata e tragica condizione umana. Se Waters affronta tali tematiche ponendo l’accento sulle difficoltà di comunicazione, sulle nevrosi contemporanee, Peter Hammill ha dalla sua uno slancio poetico e un impeto catartico unici nel loro genere. Solo un conoscitore attento e scrupoloso come Paolo Carnelli poteva addentrarsi nel making of di Pawn Hearts, capolavoro del Generatore annata 1971. Van Der Graaf Generator – Pawn Hearts. Storia immagini parole musica (Open art) è un saggio esauriente che narra la genesi dell’opera all’indomani del Six Bob Tour con Genesis e Lindisfarne: l’ispirazione hammilliana, l’esperienza stregata della registrazione nel Sussex, il rapporto con Robert Fripp, la straordinaria ed enigmatica copertina di Paul Whitehead e soprattutto il valore epocale di un disco difficile ma amatissimo. E cruciale per la costruzione identitaria dei VDGG.

D.Z.