Ho ricevuto un dono.
Bello, importante, vitale.
Anticipato da un altro dono, impacchettato nella melma.
Doloroso, dunque utile.
Parliamo però del secondo.
Un’illustrazione, una delle venti che corredano i dialoghi immaginari che abbiamo condotto nel nuovo libro DeLorean Café, pubblicato ieri da Les Flâneurs.

Non conoscevo Andrea Spinelli, lui non conosceva me.
Ci sapevamo di fama, condivisione di ammirazioni.
Tra le varie cose, aveva realizzato dei magnifici bookmark di Miles Davis: basta poco per farmi perdere la testa.
Senza avermi mai incontrato dal vivo, osservando solo la menzogna mortifera che è la fotografia, Andrea mi ha ritratto. Ha dato vita all’intervista impossibile con Piero Chiara. Ha immaginato un reale non manifestatosi, ha reificato un immaginario. E’ opera di sensibilità, occhio amoroso puntato sugli orizzonti che scruta con la sua coda; mano tesa tra ombre di psicogeografia.

Piero Chiara è il mio narratore preferito.
Ha raccontato le agrodolci tragedie del quotidiano, le miserie nascoste dietro le ambizioni, il degrado umano dentro il petto gonfio delle fanfare piccolo borghesi.
Ha raccontato la peggiore merda senza sporcarsi, a differenza dei poetucoli che nelle feci trovano la loro raison d’être per antiche leggi di affinità.

Agamben diceva che il contemporaneo è l’intempestivo, che si conosce il proprio tempo solo grazie alla sfasatura creata dal distacco; proprio lì, nello iato tra soggetto e oggetto, senza identificazione. Amo Piero Chiara perchè è proprio con la scrittura – rituale di diafane mani in pasta, artigianato visionario perché distante, ma empatico – che ha esorcizzato le tonnellate di escrementi della provincia profonda. Altro che paesologia da quadrumani.

Oggi Piero Chiara compie 109 anni. Il 23 marzo è nato anche Ugo Tognazzi, ne compie 100.
La scrittura del fango quotidiano diventa sublime, anche sulle ali del cinema.