No, ‘e libri nun ce stanno proprio.
Che delusione ieri quando ho scoperto che alla bancarella di via Luca Giordano l’assortimento di Astrolabio Ubaldini e Edizioni Mediterranee non c’è più.
L’omino mi ha risposto in modo brusco, come se avesse voluto liberarsi persino dal pensiero di quei libri un po’ più cari della media ma così nutrienti.
Ho preso un paio di Adelphi. L’affaire Moro di Sciascia, che tenevo ben custodito nella wishlist interiore in attesa del tempo giusto, e Le voci di Marrakech di Elias Canetti. Un diario di viaggio del sentire, volato tra le giuste mani.

Negli incontri, negli incroci, negli incastri, la differenza è nel sentire.
C’è una parte animalesca che non coincide per forza con l’istinto, l’aggressività, la brama.
E’ la parte del sentire: è l’annusarsi da lontano su antiche scie di affinità; è lo stare pancia a terra, orecchio a coppa che assorbe le vibrazioni. Magnetismo dal suolo al ventre.
E’ l’antica sacra borgesiana regola dell’ascolto senza armi, seduti davanti al fuoco, occhi negli occhi faccia a faccia nel familiare – ossuto e carnoso, scuro di ombra e chiaro di sole, disegni sulla pelle. Lunga consuetudine oracolare.

Il bene rifugio preserva la ricchezza reale nel tempo.
Il disco rifugio – o il libro rifugio, o l’opera d’arte rifugio – si rivela ad ogni ascolto, un’esperienza di mutazione nel conforto della scoperta.
La città rifugio è quella dei mercoledì sera, ventre poroso di pizzerie chiuse, parcheggi disinvolti, passi allertati, sottobraccio per ripararsi dal vento. In un sentire che attraversa il sussurro e il boato.