“E più lontano vai, sempre meno conosci”. Canzone meravigliosa Visioni, firma di Juri Camisasca e voce di Alice, da sempre interprete perfetta per cantare le scoperte interiori, gli itinerari mistici, le passeggiate ai confini degli scatti di crescita e di conoscenza. Più lontano vai e sempre meno conosci, se poi giri la medaglia ti ritrovi di fronte al Tao Te Ching e a George Harrison: “Senza uscire da casa posso conoscere tutte le cose della terra”… Negli ultimi tempi il mio andare lontano mi apre porte a ritroso: mi confronto naturalmente e senza grossi traumi con il passato, rimembro con sorrisi agrodolci episodi della giovinezza in cui ero decisamente più coglione di ora, mi guardo allo specchio scoprendo quant’è stata importante la gavetta e quant’è decisivo farla tuttora.

A proposito di gavetta, in questo periodo ricorre un anniversario speciale per me: dieci anni di giornalismo. Intorno alla scrittura ci sono sempre stato, da poco ho ritrovato una foto di me a 3 o 4 anni che già armeggiavo con carta e penna. A dire il vero a quell’età sapevo già leggere: niente di che, mio papà comprava Topolino e leggevamo amabilmente, Gastone, Topolino e Gambadilegno già mi stavano sulle balle, il fricchettone Paperoga è ancora oggi in cima alle preferenze, al secondo posto le torte di Nonna Papera. Ho sempre scritto: diari segreti, recensioni nascoste per paura di aver detto idiozie, versioni di latino che mi piaceva tradurre anche nei weekend, poi scoprii il magico mondo delle fanzine musicali che ho sempre considerato una formidabile palestra. Ne parlavo con Cristiano Godano dei Marlene Kuntz qualche settimana fa in occasione della presentazione del suo libro: la scrittura è una sorta di “muscolo immaginario”, l’allenamento è obbligatorio. Dieci anni di giornalismo “serio” e non più cazzeggione o amatoriale: il 31 gennaio 2003 uscì il mio primo pezzo per Le Vie della Musica, glorioso inserto del Sannio Quotidiano. Un esperimento di giornalismo musicale di ispirazione “glocal” – tra localismo piccinello e finestroni planetari – con interviste, approfondimenti, spigolature e riscoperte. Peccato che sia durato così poco: da 4 pagine quindicinali si passò a una pagina singola settimanale, credo che nel 2006/2007 siano usciti gli ultimi numeri poi l’estinzione.

Ricordo con immenso piacere quella serata tutta irpina, saranno stati i primi giorni del 2003: eravamo in un ristorantino agreste con vari amici appassionati di progressive-rock, portai anche il Professore – da me sempre introdotto in ambienti popolati da pericolosi  musicomani, temibili come i diavoli elettrici che popolano le notti di noi rockers – e conobbi finalmente il caro Massimo Forni, all’epoca firma di Wonderous Stories. Massimo mi presentò un signore con un viso morbido ma austero, barba nera punzecchiata di bianco, foulard da uomo di mondo e sguardo severo: Armin Viglione. Confesso che il primo impatto non fu dei migliori: lui mi sembrava fin troppo serioso, la chiacchierata scivolò sul religioso con tanto di dotte citazioni evangeliche, le mie palle scivolarono drammaticamente a terra risalendo solo quando si cominciò a parlare di rock. Noi monomaniaci siamo fatti così. Da cosa nasce cosa, da sguardo nasce sorriso, da sedie avvicinate nasce intesa, e Armin mi chiede di scrivere sul giornale. Così, senza tante cerimonie, senza conoscermi, bontà sua. Da allora, fino a quella critica metà del 2007 che prima o poi vi racconterò, lui ed io siamo diventati inseparabili. L’insegnamento di Armin, per quantità, qualità e profondità, lo custodisco gelosamente nel mio scrigno di preziosi.

Armin non lo ha mai saputo, il professore neanche, ma quella sera – freddissima e a malapena riscaldata dalla notevole quantità di aglianico ingurgitato – dopo aver salutato tutti e accompagnato il prof a casa, pieno di ebbrezza e di entusiasmo per le prove giornalistiche che mi attendevano feci una bella passeggiata notturna a Benevento, dove ancora non vivevo. Viale Atlantici, Piazza Castello, Corso Garibaldi, Piazza Orsini, mani gelate, passo lesto, pensieri in subbuglio, to hell and back again. Ricordo ancora quella confusione così friccicarola: cosa proporre, cosa evitare, cosa e come scrivere, e il cuore che pompa a più non posso dinanzi a un piccolo sogno che si avvera. Dopo dieci anni, oggi che mi leggono un bel po’ di persone in più su Jam, MovimentiProg e ultimamente anche Audio Review, ogni volta che penso a quant’è bello scrivere salto ancora su quella nuvola di pungente elettricità. E le passeggiate notturne sono ancora lì: tutte da scrivere.

Benevento night time 21 gennaio