La musica non è fatta solo di divi, di eroi vincenti e gloriosi.
C’è un universo di coni d’ombra, di zone oscure, di dietro le quinte. Luoghi lontani dai riflettori, dove si sono mosse personalità decisive quanto i protagonisti. Uno di questi è Roby Matano.
Probabilmente il suo nome dirà poco, ma in soldoni è colui che ha scoperto Lucio Battisti.

Cantante dei Campioni, uno dei complessi per eccellenza nell’Italia dei night in pieno boom economico, Roby assunse come chitarrista un Lucio ventenne, preferendolo per fantasia e originalità al più blasonato Alberto Radius. Nel novembre del 1963 Battisti cominciò la sua avventura nei Campioni, che durerà fino al 1966, quando partirà il suo cammino con Mogol.

Durante il triennio con i Campioni accadono due cose fondamentali. La prima è il fitto apprendistato come chitarrista: una formidabile palestra grazie alla quale, suonando di tutto ogni notte, Lucio sviluppa una notevole abilità con lo strumento. La seconda è la scoperta della scrittura: Roby intuisce il talento del ragazzo e lo invita a cimentarsi nelle canzoni. Giorno dopo giorno, lo sprona nella composizione e lo aiuta nei contatti con il mondo delle edizioni e della discografia. Quello che verrà subito dopo lo dobbiamo principalmente all’insistenza e alla sicurezza di Roby Matano.

Ieri Roby ci ha lasciato.
Custodisco il ricordo di una persona di estrema gentilezza e disponibilità, ma anche amareggiato per i lati oscuri del mondo della musica, nel quale ha lavorato defilato, con tanti successi ma mai in prima fila. Lo incontrai due volte – la prima a Bergamo, dove viveva, la seconda in una lunga mattinata insieme alla Saar Records a Milano – per le lunghe interviste che avrebbero arricchito il mio libro Il nostro caro Lucio. Ho appena rivisto le trascrizioni e una dichiarazione mi ha colpito, credo di non averla inserita nel libro:

“Lucio per circa diciotto anni non ha fatto nulla che non abbia deciso con me, però non ho mai voluto che lui lo dicesse a qualcuno. Il nostro patto era questo. Ogni cosa l’avrebbe concordata con me ma non l’abbiamo mai comunicata a nessuno. Ero talmente deluso e schifato da quell’ambiente, ero diventato lo zimbello dei discografici, così ho preferito farmi da parte, ma Lucio mi ha sempre comunicato tutto in merito ai suoi dischi, ai suoi riscontri SIAE, alle sue vicende personali, ma non mi sono mai illuso, lo faceva per sentirsi al sicuro, per avere un’assicurazione in più.

Voleva sempre il mio parere, alcune volte gli esprimevo il mio disappunto e lui cercava di convincermi, ascoltando insieme ‘Emozioni’ ci fu una grandissima emozione per entrambi, per ‘Anima Latina’ gli feci i complimenti anche se non era il mio genere, invece ‘Perchè no’ si avvicinava molto alla mia sensibilità e a quello che cantavo nei night, infatti la apprezzai molto. Ero molto perplesso quando pubblicò ‘Images’ per l’America, ricordo che ne parlai con Radius, anche lui molto dubbioso: “A Robbè, me pare uno de Trastevere che parla inglese”…

Ai tempi dei Campioni quando viaggiavamo sognavamo, allora ci dicevamo che saremmo andati a Londra insieme, cose del genere. Il patto che facemmo era che il primo dei due che sarebbe andato, avrebbe scritto una cartolina all’altro: lui ci è andato ma non me l’ha scritta! Sono cose che sembrano stupidaggini ma invece sono piccole ferite che ti rimangono. Io per Lucio non ho fatto solo il talent scout, ma anche il fratello maggiore”.