Mythos Fondativo.
E’ un concetto che mi porto dietro da tempo, da quando lo affrontai con Claudio Sottocornola.
Il mythos fondativo del filosofo del pop, con il quale ho lavorato per anni, è la nostalgia del passato, in particolare degli anni ’60 sabbiosi, in filigrana, tra jukebox e cortei, sapore di sale e compagni dai campi e dalle officine.
I fatti della vita e il covid, con il suo apparato di distanze, lontananze, disconnessioni, hanno allentato i nostri rapporti. Agli sgoccioli di quest’anno di andate e ritorni, ho ricevuto due suoi nuovi libri. Un pensiero inatteso, un regalo speciale. E’ anche grazie alla frequentazione con lui – fisica, teoretica, on the road, dalle lezioni-concerto alle chiacchiere su massimi e minimi sistemi – che ho imparato a guardare alle parole da più versanti. Osservazioni prismatiche.
Fare dono è un gesto regale; regalità è padronanza di sè, emanciparsi dall’incubo delle passioni. E ti vengo a cercare, una delle tante che Claudio ha interpretato nei suoi progetti di ermeneutica pop.
Mythos è uno dei suoi tanti librini iniziatici, osservazioni nella notte da una finestra borghese su una periferia in movimento, come le sue foto. Occhio di bue è una sorta di opera omnia a metà, raccoglie e sistema anni di lezioni-concerto e di eventi sul territorio tra canzone e crisi dei valori.
Ascoltavo il nuovo album dell’Accordo dei Contrari. Un brano si chiama Così respirano gli incendi del tempo. A volte i titoli spalancano universi.