Genova di notte, binario letterario.

Una quindicina d’anni fa, quando lasciavo la mia Acqui Terme prendevo spesso il treno notturno da Genova. Non era un giaciglio comodo ma almeno sarei stato immediatamente operativo al mattino.
Una sera entrò in cabina un signore distinto, intorno alla sessantina, barba rossiccia tendente al bianco, occhiali dalla montatura demodè. Era un po’ disorientato, probabilmente si era prefigurato una nottata in bianco con un collega di branda rumoroso, così da uomo di viaggi lo rassicurai sorridendo e mettendomi a leggere.

Si presentò, era un docente di Letteratura Italiana della Federico II, di ritorno a Napoli. Con formalismo sorvegliato e rassicurante parlammo di letture, percorsi, geografie urbane, sconfinamenti. Con la gentilezza cerimoniosa di certa borghesia partenopea mi chiese di svegliarlo ai Campi Flegrei, dove sarei sceso anche io.
Gli chiesi un parere sulla canzone d’autore: dopo i grandi – De André, Guccini, LolliVasco Rossi è uno che ha scritto cose molto valide, rispose. Ancora oggi ho svariate perplessità su quella insigne uscita.
Ci salutammo discesi dal treno, il suo sguardo spaesato era lo stesso della partenza.
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Sul perchè leggere, rileggere e rileggere ancora una volta i classici si potrebbe tenere una batteria di convegni, simposi a raffica.
Faccio mie tre risposte.
La più recente è dell’amico Max Fuschetto, confidata ieri tra Via Montesanto e Salita Tarsia per andare alla funicolare: non ci si può privare della grandezza del mondo.
La seconda è di Cartesio: la lettura è un dialogo con i migliori spiriti del passato.
La terza è la più antica, proviene dallo Zhuang-zi e le ho aggiunto una minuta variante: i classici sono le poetiche figure dei saggi che illuminano il mondo.

Voglioso di luminosa grandezza, in questi giorni di ricorrenze foscoliane – 6 febbraio 1778, la nascita a Zante – ho riletto la bella edizione BURdelle Poesie.
A cura di Matteo Palumbo: il professore salito a Genova.