Da quanto tempo non aggiornavo il mio diario. Saranno un paio di mesi, forse tre: la fine della stagione 2013 di Rock City Nights, con la relativa sospensione di passeggiata notturna per andare in redazione e tornare, ha congelato le riflessioni, ibernando quel simpatico groviglio di pensieri, musica e immagini che di tanto in tanto animava le mie trotterellate in radio e stimolava le successive avventure diaristiche. I motivi di questa lunga pausa? Gli impegni. Impegni di padre in primis: basta leggere il blog di mia moglie, guardare il negativo controluce e mettere me al posto suo per avere un’idea di quanto sia tremenda la nostra cucciola… Impegni lavorativi in secundis: l’estate è sempre il momento più congestionato per il nostro ufficio stampa. Impegni da scrittore, alfine.

Per quanto riguarda questi ultimi, posso anticipare qualcosina: qualche giorno fa ho chiuso il mio nuovo libro. Ora mi tocca la consueta fase della rilettura, con tutto l’iter di asciugate-sforbiciate-alleggerimenti-sfoltite: se è vero che si considera il missaggio di un disco come una componente creativa quanto l’incisione, allora questo vale anche per la revisione, per il labor limae, per il ritorno meditato e freddo al flusso di coscienza buttato su carta. Immagino vogliate sapere cosa ho scritto stavolta. Beh potrei dirvi che ho commentato i testi di una leggendaria rock band, che gli autori di tali testi sono stati diversi nel corso della lunga carriera, che l’incontrastato e costante leader del gruppo non ha mai scritto una parola… A ben guardare vi ho dato un indiziaccio che neanche gli aiutini dei quiz per scemi in tivù. Però preferisco rivelarvi che di questo libro – in uscita tra ottobre e novembre – esistono due versioni.

Di solito scrivo direttamente al pc, senza stesure preventive. D’altronde chi fa questo mestiere sa benissimo che si tratta di artigianato allo stato puro, il libro è il risultato di un lavoro certosino e sudato, condito di bestemmie e occhi appiccicati dal sonno, non sempre intellettuale, metafisico e signorino come si immagina. Orbene, stavolta ho agito un po’ diversamente. Ho scritto ogni capitolo sul mio fido taccuino, appuntando idee, spunti e concetti, fino a stendervi le versioni provvisorie, contando poi di trascriverle al pc. Una volta al computer mi sono lasciato andare e ho scritto ex novo, senza ricopiare dalla carta… Sarà il mio antico odio per il dualismo bella copia/brutta copia (qualsiasi cosa mi ricordi quel funereo e cameratesco agglomerato umano chiamato scuola mi provoca l’orchite), sarà un’ispirazione mai così torrenziale, fatto sta che di questa nuova fatica esistono due versioni… Quella ufficiale la leggerete presto, quella privata su carta sarà inserita in una teca nel museo familiare, che potrete visitare su prenotazione. I più educati potranno spulciare anche nella mia preziosa collezione di vinili, ai più meritevoli potrò aprire il cassetto dei Tarocchi.

In realtà la cosa più entusiasmante di questa fine libro è la sensazione di smisurata libertà. Mi ricorda quando finite le scuole – indistintamente elementarimedieliceo, li mortacci loro quante – ci producevamo in solenni gesti dell’ombrello, in trionfali bestemmioni, in apocalittici vaffanculo ai danni dei professori, qualcuno doveva pur pagare per nove mesi di segregazione scolastica che al confronto una gravidanza era come una scoreggina silente. E dopo l’ultimo giorno di scuola, ai primi raggi dell’amato sole, il primo giorno di libertà, potevi fare quello che volevi: io adoravo leggere. Ma non leggiucchiare sonnecchiando. No: proprio leggere. Leggere leggere leggere. Un amore folle e scatenato, parallelo a quello voglioso e allettante della scrittura. Un amore che oggi mi eccita più che mai, che sto soddisfacendo con Piero Chiara. In questi giorni ho finito La stanza del vescovo e ho subito attaccato con Il Balordo: lo so che sto andando a ritroso, ma dove c’è gusto non c’è perdenza. E poi è impagabile finirne uno e attaccarne un altro, specie dello stesso autore. Chiara però è diverso. Mi diverte da morire ma è crepuscolare, amarognolo, decadente, quando termino un suo libro ho bisogno di una piccola pausa. Che stavolta ho subito ingannato con Malastagione della premiata coppia Guccini-Macchiavelli: che delizia quel Poiana…

In questo periodo che mi sta vedendo non solo saggista in crescita ma anche narratore occulto (nel senso che scrivo racconti e principi di romanzetti in gran segreto…), sto scoprendo quanto sia influente su di me Piero Chiara. Con delle notevoli differenze però: entrambi narriamo la provincia, ma lui uno splendido lago con le frontiere all’orizzonte, io una massa di stupidotti che popola terre magnifiche; se lui racconta in punta di fioretto piccoli e pruriginosi scandali locali, io mi tuffo a capofitto nelle volgarità di mezze figure e notabili finto colti, lanciandogli la mia personale critica verso la stupidità; dove lui è un aristocratico scostumato, io sono un misero caciarone, estremo e grottesco; quando lui entra in punta di piedi in vizi privati e miserie umane, io ci godo tutto dentro e mi gioco piccole vendette; quando lui sta per descrivere il sesso ma si ferma sulla soglia della camera da letto, io indago in ogni pertuso di storiacce onanistiche e vaselliniche. Secondo me abbiamo in comune anche un’altra cosa: la tazza.

Me l’ha regalata Francesca proprio ieri: una bella tazza da tè in terracotta, lievemente smaltata, con quel color sabbia che a me piace tanto. E’ qui accanto a me: tazza da scrittura, da meditazione, da concentrazione, da conservazione del fumo e dei pensieri, del latte mattutino e dei programmi quotidiani, di minuscole manie e sontuose aspettative. Di sicuro ce l’aveva l’Orimbelli della Stanza del Vescovo, di sicuro la sfodererà Doriano Cane, tonto e odoroso protagonista di un romanzetto che presto – lo spero proprio – leggerete.

Bishop mug 7 agosto

D.Z.