Boccate feline.
Ogni volta che torno a casa c’è un gatto ad aspettarmi.

La mia allergia alla Felinanza Universale mi impedisce di ricambiare la dedizione di questa creatura bianca e nera, dai movimenti garbati e senza suono.
Di tanto intanto nutro e disseto i suoi colleghi, spesso però sbaglio pietanza visto che ignoro il suo microcosmo gastronomico. L’altra volta mi ha snobbato con una certa superbia una succulenta foglia di lattuga.
Sta lì fuori, aggattato sul bidoncino della spazzatura, probabilmente gode per il calore della rumenta, medita sul fuoco cosmico che con misura divampa e con misura si spegne. Micio oscuro, iniziatore di nottivaghi, magi e menadi.

Ho scoperto che ha un sosia.
Stessi colori, eguale zampata lesta, fame atavica da accumulatore. Solo gli occhi sono un po’ diversi, meno guerci, rotondi. Non vuole essere fotografato poichè rifiuta il consenso social. Ricorda Mustafà, il canetto della Banda degli onesti – “Guardate don Anto’! come se pregasse…” – ma quando compare Totò è bene non parlare. Vaticini e oracoli. Frammenti principeschi.

Entrato in casa ho ritrovato un pezzetto di sigarettina, fabbricata ieri dal direttore con le sue mani sapienti dopo un’ora chiacchierosa di Rock City Nights. Il bello di questi sigarilli handmade è che quando li dimentichi ricompaiono al momento giusto.
La collocazione della cicca è pertinente. Litfiba 3. Ultima sigaretta, miccia al tabacco.
L’ho sfumacchiata col gatto. O col suo sosia.