Di tanto in tanto, tra le pieghe più oscure del movimento progressive, spuntano fuori omaggi alla Tv d’antan, a quel bianco e nero statico e teatrale ma così affascinante, che ci catapulta indietro in un’Italia scomparsa, affogata nella volgarità e nella bruttezza. Il progetto Il Segno del Comando fu la manifestazione più eclatante di questi tributi a un’Italia che fu e sulla scia di quel prog-rock fosco e tenebroso arriva anche L’Ombra della Sera.

Vicina ai Morte Macabre per ispirazione e origine, l’Ombra della Sera ricorre saggiamente allo humour nero e non rivela l’identità dei suoi componenti: dietro nomi come L’Ombra della Sera, Marco Tagliaferri, Edward Forster e gli altri si cela molto semplicemente la Maschera di Cera, ovvero Macor, Zuffanti, Di Tollo, Corvaglia e Monetti. Il collegamento con la MDC è evidente nell’uso di strumenti analogici, nell’abilità di dosaggio delle dinamiche e nella costruzione delle giuste atmosfere: al prog italiano storico così amato dalla MDC, l’Ombra risponde con il suo tributo a Riz Ortolani (“Ritratto di donna velata), Enrico Simonetti (“Gamma”), Romeo Grano (“Cento campane”) e Berto Pisano (“Ho incontrato un’ombra” e “La traccia verde”).

Insomma un tributo rock a cinque temi famosi di sceneggiati anni ’70, debitamente rivisitati con un bel tocco di personalità, spaziando tra rock sinfonico, funk-jazz e i classici slanci melodici del progressivo italiano. Se i Morte Macabre giocavano con timbri spettrali e criptici, l’Ombra non rinuncia al divertissment pur avventurandosi tra sonorità inquiete (la superba “Ho incontrato un’ombra” lo dimostra, collegandosi al sound aspro della prima Maschera).

A differenza di altre opere zuffantiane, l’Ombra della Sera conserva il suo spirito di progetto parallelo: proprio per questo è un lavoro piacevole e gustoso ma inesorabilmente legato alle dinamiche da tributo.

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D.Z.