Sprofondiamo nell’artwork. Questa sorta di grande tela che compone il libretto del cd, un paesaggio mutante tra Grosz, Guarnaccia e Cal Schenkel con donne lascive, peni dappertutto, accoppiamenti bastardi, uomini lupo e Tanit dalle cento mammelle, la dice lunga sul magma sonoro che i Poil scaraventano sull’ascoltatore. Si tratta di un trio alla ELP, tastiere-basso-batteria, ma di grandiosità sinfoniche e piroette virtuosistiche c’è ben poco: “Brossaklitt” è un lavoro ibrido e scoppiettante che unisce generi alti e bassi tra torsioni soniche e tanta trasgressione, portando in casa AltrOck la falsariga di un predecessore assai apprezzato (“Dins o Cuol” del 2011, distribuito dalla stessa label di Marinone).

La colonna vertebrale del disco si regge su tre momenti-chiave: chiamarle suite è scorretto e la propensione alla free form si nota tutta, “Fionosphere”, “Patachoi” e il terremoto di “Pikiwa” sono il manifesto di una vena compositiva visionaria e allucinata, che prende dal punk lo scatto rabbioso e serrato, dal progressive la deviazione sorprendente, da Zappa lo spirito non convenzionale, tra il rabbioso e il sarcastico. La prima del trittico è un’oasi in cui emergono ragnatele elettriche crimsoniane e quella sensazione di apocalissi imminente – accentuata anche dai vocalizzi e dal linguaggio fonosimbolico – tanto cara ai connazionali Magma.

Per essere un progetto che si regge sull’unione di disparati elementi, Poil non lesina riferimenti e connessioni, ad esempio ai Chrome Hoof (vedi “Mao”), creatura di casa Cuneiform alla quale, a mio avviso, il trio francese guarda con attenzione. La principale qualità dei tre è il saper proporre in modo ipercinetico una sequela di cellule impazzite, tra le quali spiccano dei frammenti titanici, un po’ nello stile Mr. Bungle ma ricordando anche Nippon Eldorado, l’esperimento japan-rock dei Sonata Islands.

Un disco tanto inebriante nella fantasia quanto nevrotico e complicato, frutto di un trio affiatato e solo a tratti confusionario.

www.poil.bandcamp.com

D.Z.