Con buona pace dei puristi, negli ultimi anni il termine “progressive” è stato spesso utilizzato per gruppi (e spesso dai gruppi stessi) come Tool, Opeth, Ulver e via discorrendo. Formazioni attigue al metal o all’hardcore evoluto, che non propongono un discorso aderente ai canoni del prog storico ma che sicuramente attingono da nomi come King Crimson, Pink Floyd, Rush e ELP. A questo panorama si avvicinano i Syne.

Nati nel 2010 per volontà del chitarrista Fabio Marchisio, hanno debuttato con un Ep di tre pezzi e a due anni di distanza tornano con un ambizioso full-lenght. Come spesso accade ai debut-album, anche “Boundaries of hope” mette in mostra il microcosmo di riferimenti, influenze e obiettivi che muovono la band. La giovane formazione torinese opera in quell’alveo post-progressive caro alla KScope e ha qualche punto di contatto con i vari Anathema e North Atlantic Oscillation, prediligendo però le sfaccettature melodiche e un certo impatto.

Rispetto a tanti colleghi, i Syne spiccano per un duplice elemento: da una parte l’attenzione al dettaglio sonoro, sia negli arrangiamenti che nelle scelte timbriche, dall’altra la cura melodica che lega brani come l’aggressiva “Hurting words”, la ballata “Slow me down”, l’ariosa “No more clouds”. Il modello Rush convive con una bella matrice class metal alla Queensryche/Fates Warning, “Brand new breathe”, “Sleepless”, la title-track e “So what” rivelano un gruppo capace di unire animo heavy, refrain a presa rapida e mutevoli articolazioni prog.

Preparati e grintosi, i Syne hanno le carte in regola per proporre qualcosa di più originale: il primo disco presenta una band sicura di sè, la propria personalità verrà fuori con il tempo e un continuo lavoro.

http://www.syne.it

D.Z.