Il silenzio è la lingua di Dio, tutto il resto è scarsa traduzione, sentenziava dolcemente Rumi.
Qualche sera fa, durante il percorso visionario sulle Mura Urbiche con il Teatro Koreja, le parole di Rumi risuonavano nelle nostre orecchie, avvolte dalle cuffie. Parole in forma di parabola, chiusa sempre dal monito in forma di adagio: chi ha orecchie per intendere, intenda. Come il gesto sacro del Buddha: la mano che accoglie, la mano che ferma.
In questo lungo periodo di rilettura e riascolto di Battiato – già da prima che ci lasciasse, ma figure del genere non ci lasciano mai, cambiano solo il piano dell’esistenza – mi sono confrontato spesso col silenzio.
Stasera alla Quarta Notte Bianca del Libro di Montagano dovrò parlare di Battiato. L’unico modo per farlo sarà mettere al centro, ma anche alla periferia, tutto intorno sopra e sotto, la musica. Qualche parola controllata per non appesantire note e silenzi nel Borgo della Lettura, in attesa dei padri del deserto.