Nel corso degli anni, divorando pagine cartacee, filmiche e digitali, ho costruito un sentenziario. Anzi un aforismario. Meglio ancora: un archivio vivente del sapere.
Motti, citazioni, adagi antichi e contemporanei, sviluppi tematici a raggiera, riflessioni prima sotto forma embrionale di spunto, infine con la spina dorsale di chi ha conquistato la posizione eretta. Appunti su appunti, dapprima su block notes poi nelle note dello smartphone, che costituiscono una sorta di bussola. Pensieri di saggi divenuti parole, assorbiti dal lettore instancabile che guida la mia macchina, metabolizzati fino a diventare azione. Un arco dalla scintilla alla carne.
Un aforisma appena ritrovato appartiene a colui grazie al quale tutto è stato, Jiddu Krishnamurti. Lo leggevo voglioso nella seconda metà dei turbolenti ma benedetti anni Novanta, quando ascoltavo il Battiato rinnovato da Sgalambro. Apprendimenti paralleli. Il pensatore indiano disse: “La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare”. Lasciamo il giudizio ai cattedratici inabili all’osservazione, a noi piccoli apprendisti la faticosa gioia di essere vasi da svuotare e riempire.
La stessa gioia della rilettura di 1971 di David Hepworth. Allora la discografia navigava su oceani pieni zeppi di musica: Led Zeppelin, Marvin Gaye, Joni Mitchell, Who, Rolling Stones, David Bowie, Black Sabbath, David Crosby, John Lennon e tanta altra bontà. Ignoro cosa facesse Gadamer all’epoca ma se è vero che “la cultura è l’unico bene dell’umanità che se condiviso aumenta”, spero che un minuscolo suggerimento di lettura possa diventare un seme fecondo.
Mercoledì 18 agosto a San Vincenzo (LI) faremo un incontro dedicato proprio al rock del 1971. Un ping pong tra Inghilterra e Italia 50 anni fa, dai Genesis alla PFM, dai Jethro Tull alla Formula 3. Come scrive Hepworth, “Sono nato nel 1950. Per un appassionato di musica è stato come vincere la lotteria”.