Fino a giovedì mattina, avevo incontrato Girolamo De Simone solo una volta. E dire che lo conoscevo abbastanza bene: ammiravo la sua esperienza di compositore autorevole e personale, di divulgatore instancabile di “musiche di frontiera”, direttore di Konsequenz e firma del Manifesto (aveva anche recensito un mio libro sui Lingalad!), il mio ufficio stampa aveva lavorato alla promozione della sua opera Ai piedi del monte. Una figura cara, stimolante, con cui il contatto – via mail e Facebook – non è mai mancato. Quello che mancava era la fisicità. Un solo incontro un paio d’anni fa, che mi aveva comunicato luce ma trasmesso anche molte ombre.

Perchè Girolamo è una persona ombrosa: non cupa, nè tetra ma più a suo agio nella penombra. Una persona difficile e problematica come ogni uomo di vera cultura; una persona che dà peso alle parole, al senso delle cose, alle direzioni, e che proprio per questo, in tempi complessi e “appiattiti”, lascia emergere gli spigoli piuttosto che la morbidezza. Un’ impressione maturata anche a contrario, visto che in quel primo e unico incontro ci fu il comune amico Max Fuschetto: la risata contagiosa e la solarità spumeggiante di questo giovane compositore sannita non potevano che far risaltare l’indole introspettiva, talvolta mesta, di Girolamo.

I due hanno in comune, tra le tante virtù, una dimensione esperienziale che a me manca: l’amore per il proprio territorio. Visitare la Madonna dell’Arco cara a Girolamo o la San Marco dei Cavoti di Max proprio insieme a loro, guide d’eccezione appassionate e realmente presenti, è stato qualcosa di memorabile. Mi piace pensare che pochi privilegiati abbiano potuto godere di questa intensa “interpretazione autentica” del territorio: Vesuvio e Fortore diventano dimensioni dello spirito, luoghi d’elezione per anime affini. Mi rivedo in loro quando torno in luoghi distanti che sento “miei” perchè custodiscono le mie lontane origini: quando visito Montecorvino Rovella e Acqui Terme, quando mi immergo nel verde dei Monti Picentini o passeggio tra le brume dell’Alto Monferrato, rinasco e sento il legame con la terra, proprio come loro.

Giovedì ho rivisto Girolamo. Una fredda mattinata di maggio, Sant’Anastasia brillante e suggestiva, adagiata alle pendici del Vesuvio e proiettata verso il mare. Nuovi progetti, inediti confronti, quel vecchio incontro rimasto sospeso plana naturalmente verso un futuro appuntamento da far maturare. Un album in uscita: Inni e antichi canti è un’opera complessa e stratificata che riesce a spiazzarti per la sua magica semplicità. E’ uno di quei casi in cui il disco non è che il tassello di un ampio itinerario: la scoperta di antiche vie, ancestrali contatti tra popoli, frammenti di luce, spiritualità e sapienza tra Siria e Benevento, Assisi e Gerusalemme. Una componente importante dell’opera parte proprio qui. Girolamo, compositore colto e misurato, opera al confine: mi ci sono trovato giovedì mattina, quando alcuni sguardi e una serie di parole-chiave (transito, accoglienza, percezione, accadimenti, autenticità…) mi hanno acceso tante scintille.

Giovedì sera ho ripreso un libro che comprai qualche anno fa e che non avevo ancora letto, in attesa di stimoli nuovi. Il mio amato René Guénon e il magistrale Il regno della quantità e i segni dei tempi. Perchè tanti segni arrivano quando meno te lo aspetti, caro Girolamo. Il primo è arrivato proprio quel giovedì mattina, quando mi sono svegliato e aperta la finestra ho scattato questa foto: