La recente ondata di scoperta/riscoperta per i Can, dovuta al poderoso Live a Stoccarda del 1975, mi ha fatto pensare a Sándor Márai. Noi siamo quello su cui teniamo il segreto, ha rivelato lo scrittore ungherese nelle Braci, e ho immaginato la band tedesca come un curioso guilty pleasure sul quale in tanti sono usciti allo scoperto in modo irresistibile.

I Can non si possono non amare, nei meandri della loro storia si celano tanti volti. Adoro il metronomo morbido di Ege Bamyasi, oppure Soon Over Babaluma – il tango involontario di Come sta la luna, riascolti su riascolti – o ancora Flow Motion, punky funky reggae con Jaki Liebezeit fluido e puntuto, un tappeto di chiodi.

Per capire servono segni e simboli. Fausto Gilberti lo sa e affila in monocromo le sue porte regali. Iconòstasi dal nord, da dove entra la luce.

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