Are you experienced? Chiedeva Jimi Hendrix con il titolo del suo primo album.
Yes I’m experienced, rispondeva Eric Burdon da San Francisco, dove aveva rifondato gli Animals.
La cultura rock è cresciuta con il concetto di esperienza: viaggio, scoperta, consapevolezza, spazio interiore, frattura generazionale.
Quando mi si chiede della mia formazione dovrei evitare la risposta di prammatica (liceo scientifico, giurisprudenza etc) e parlare di cultura rock. È quella che più mi ha strutturato, nella persona e nel mestiere. Come sentenziò Springsteen, abbiamo imparato di più da una canzone di tre minuti che da un anno di scuola. Il resto – letterature, filosofia, arti, saperi altri – l’ho sviluppato con smodato disordine da autodidatta.
Affronto le cose della vita in modo empirico, ma curiosamente sistematico. Vivo nel flusso con la voglia di assorbirlo senza interromperlo. Quando i filosofi e i sapienti ammonivano sull’attenzione, probabilmente avvertivano che questo stato mentale – che è anche fisico e spirituale – oggi è impedito dai dispositivi della distrazione. Lo scatto illude, la memoria interiore invece è un universo babelico tutto da coltivare. Ammetto occasionali interruzioni fotografiche solo quando la visione è nella corrente e la rende più impetuosa, quando l’immagine è sorella della parola. Quando dietro cubi di grigiore appaiono squarci policromi.
La gioia di scovare Theodor-Wolff Park attraversando uno squat di punkabbestia coi manifesti di Mumia Abu-Jamal, chissà chi lo ricorda. A pochi metri dal lato opposto un caseggiato in Hoffmann Promenade risponde con un pullulare di vasi fioriti, comprese le piantine amate da Lee Scratch Perry. Da qualche ora non c’è più, dubbing in heaven.
Proprio il 29 agosto. Come nel 1966, Candlestick Park, San Francisco: l’ultimo concerto dei Beatles. Poi gli studio years e un’altra faccia della rock culture. Come diceva il poeta, conosco i segni de l’antica fiamma.