Mudra Sounds VII.
Parafrasando la Bhagavadgita (12.12), c’è un bel percorso per arrivare alla pace. Tocca superare la pratica meccanica, la comprensione, la meditazione e soprattutto l’ansia per il risultato. Lì si trova l’immenso soffio dell’oceano.
A naso direi che si potrebbe trovare anche un arcigno muro di suono, impenetrabile, invalicabile. Elettrico. Come quello di Sound Of White Noise.
Giugno 1993, credo di aver comprato la cassetta l’ultimo giorno di scuola. Diciott’anni in arrivo, capelli lunghi fino al culo, polo verdone a pois che non ho mai capito perché la indossavo ma quando ci si agghinda strani si è più personaggi, all’epoca probabilmente ne avevo bisogno.
Mi piaceva la ritmica martellante di Scott Ian – che era personaggio più di tutti perché nel reame dei capelloni era l’unico pelato – e in particolare la solista di Dan Spitz. Mi era simpatico perché aveva il cognome di un biografo dei Beatles e quando sparava gli assoli era tutto un blueseggiare; serrato, frenetico, ma ben piantato a terra.
Negli ultimi anni pare faccia l’orologiaio, chissà se senza ansia da risultato, non come quando si valica il diciottesimo.