Caputarsi una volta al giorno è cosa buona e giusta. È un incontro col benessere, musica col sorriso. Posologia dello swing, andante con brio.

Ne approfitto per fare un po’ di musica. Un gioco di respiro demodé ma mai così pertinente, soprattutto se raffrontato al fiato corto degli ottoni sintetici di studio. Inoltre è raro trovare uno che pompa come Julius Farmer. Jumpin jive bass col cuore.

E poi – perché questo è un live con tanti e poi – c’è un momento magico.
Un passaggio irresistibile di T’ho incontrata domani.
Uno di quelli che mi fanno dimenticare l’odioso adesivo Nice Price sulla copertina (perché con la grande musica i punti esclamativi sono tutti interiori).

Capita a tanti musicisti, da quelli ciondolanti in periferia con le pezze al culo a quelli aurei con la grazia di Apollo, di avere il desiderio della gran serata. Come i Blues Brothers con Cab Calloway. Svestirsi da pulciosi e immaginarsi scintillanti sul palco tirato a lucido, pubblico osannante e standing ovation.

C’è un momento di quel brano – “Eccessivo fu il sax sbrodolando per noi un assolo di jazz” – in cui Sergio Caputo annuncia, petto in fuori: Signore e signori, la band. Smoking bianco.