Ho un'abitudine. Una bella abitudine. Ogni mattina mi piace fare colazione con un disco. Cornetto, caffè, yogurt, latte, biscotti, fette e marmellata e un album preso a caso che accompagna questo dolce interludio tra il risveglio e il carnevale della giornata che parte. Stamattina con gli occhi ancora impastati di sonno ho infilato le dita a casaccio nei piani medi dei miei prestigiosi scaffali, lettera D: Miles Davis. In A Silent Way. 1969.


Quanto amo questo disco. Non so se è il mio preferito ma di sicuro è quello che conosco meglio. E intendo a memoria. Memoria profonda. Roba che una notte, non molto tempo fa, lo sognai completamente. Nel senso che sognai di ascoltare In A Silent Way, lo ascoltai nota per nota. Ricordo ancora la goduria nel seguire attentamente la spazzola di Tony Williams, precisa, perentoria eppure quasi assente nella sua discrezione. Proprio come il “du-dum” incessante di Dave Holland. E ancora oggi, proprio stamattina mentre mi perdevo nel caffè, risuonavano in me le suggestioni offerte dai piani Fender Rhodes scintillanti di Corea e Hancock, dalla punteggiatura della chitarra di McLaughlin, dall'organo di Zawinul che passa come un tappeto volante. Dal carisma di Miles.

Se dovessi dire perchè amo quest'album sarei in difficoltà. Credo sia un fatto di elettricità. Quella alla quale sono devoto da una calda mattinata di un'estate di tanti anni fa, talmente lontana che la confondo con mille altre iniziazioni elettriche, quando mi arrivò nelle orecchie Immigrant Song dei Led Zeppelin. Quella canzone che parlava di terre del ghiaccio e della neve, di martello degli Dei e di Valhalla mi stregò. Non ero più lo stesso. Non sono stato più lo stesso di fronte a Paranoid, a Voodoo Chile, a Smoke On The Water, a Cities on flame with rock 'n' roll, a Green Machine, a Thunder Kiss 65 e a tutte le migliaia di grandi e piccoli riff scolpiti dentro me. Perchè l'elettricità è un culto, mi ha scosso e travolto quando ero piccino e mi ha guidato tra meandri oscuri e regioni assolate, conducendomi alle scoperte che annusavo da lontano.

Ancora oggi, che di musica ne mastico e in musica lavoro, quando un riff mi cattura e sento di nuovo la stessa scarica di adrenalina di anni fa, quella che arriva fin laggiù nel profondo di ciò che sei, rinasco. Come tanti anni fa, quando ero bambino: domenica mattina, mercato di Apice, come guidato da una longa manus electrica mi dirigo alla bancarella delle cassette. Collezione hard rock registrata da chissà chi, probabilmente un emulo sfigato del leggendario Mixed By Erry (i campani mi capiranno). Non avevo ancora baffi e peli pubici, la mia verginità andò via con il riff di Back In Black. AC/DC santi subito e gloria in excelsis deo.

Electric Lotus. Caffè e una via silenziosa. Non ci vuole molto a cominciare bene una giornata.