Ci sono domande che non vorresti ti facessero mai. Sono innumerevoli. Una di queste, tra le più insidiose, è la seguente: “Ma quando scrivi hai un metodo?”. Temibile anche perchè spesso prelude alla seguente, che è la bestia nera delle Minchia Questions: “Che bello scrivere un libro, vorrei farlo anche io, ma come si fa?”…


Al netto dei quesiti, sul metodo della scrittura mi sono sempre interrogato, ma la risposta è sempre la stessa: boh. Il metodo mi sa che non ce l’ho. Però dopo una dozzina di libri e una milionata di articoli, posso dire che un’idea grosso modo me la sono fatta. Un’idea non tanto di metodo, ma di concezione della scrittura. La scrittura accade. Null’altro. Accade quando sei pronto, e in quel momento ti tocca comporre. Occhio, comporre, non scrivere. Scrivere è da tutti, dai messaggini dei trottolini amorosi alle minchiate da stadio sui muri. Comporre – cum ponere, mettere insieme le cose – è da registi dell’esistenza. Non da autori, perchè mi sa tanto che non inventiamo nulla, ma da registi, che accostano, fondono, rifondano e reinventano.

Un esempio di come scrivere sia comporre, mettere insieme le cose, dirigere un accadimento? Detto fatto.
Stamattina sfogliando il giornale trovo una splendida poesia di Antonio Ricci (non quello di Striscia la notizia, il poeta che per Giorgio Caproni era “nella O di Giotto della poesia”). Ecco il pezzetto che mi ha colpito:

“Sui davanzali spesso
vi è una caffettiera oppure i fiori.
Ieri una caffettiera mi ha detto: io nella vita
faccio il caffè, tu cosa fai?”

“Tu cosa fai?”. Questa domanda – che non è una Minchia Question anche se ne ha tutte le caratteristiche – mi sta inseguendo da tempo. Ad essa sono particolarmente sensibile perchè facendo tante cose, ho difficoltà a riassumerle tutte. Ieri sera, prima e durante una memorabile riunione di classe delle medie – scuola media! 30 anni fa! preistoria! – la domanda è tornata a bomba, ovviamente mettendomi in crisi. Cosa faccio? La prima cosa che mi viene in mente sempre è: “vivo”. Ma per non vedere l’espressione da minchione dell’interlocutore, la tengo nel cassetto e la sfodero quando proprio non c’ho voglia di tirare fuori l’elenco tipo curriculum. Che poi cosa faccio voi che mi leggete su questo sito lo sapete, e sapete bene che al centro di tutto c’è la musica, dalla quale si diramano numerose attività che però mi scoccio di ricordare e vorrei non parlarne mai, e parlare invece di vita, di esistenza, di curiosità, di carne e spirito, di cose belle che ci fanno esistere con gli occhi spalancati per la fame di sapere. Ma questa è un’altra storia, veniamo al dunque.

Riunione di scuola media.
Intanto partiamo dalla Epica Saga delle Curiose Coincidenze. Dieci anni fa stavo tramando la riunione di classe con i compagni del liceo che poi, proprio nel maggio 2008, avvenne. La ricordo con gioia e affetto: fu per alcuni un duro confronto col passato, per altri una piacevole rimpatriata, per altri ancora un incontro rivelatorio e fortunato. Dieci anni dopo, esattamente nello stesso periodo, l’amico/fratello/compagno di merende/testimone di nozze Umberto mi ha comunicato che è nato su Whatsapp un gruppo di ex compagni di scuole medie.
Scuole medie…
Ragazzi che praticamente ho visto l’ultima volta nel 1989, ai tempi del muro di Berlino, di Piazza Tienanmen, delle fatiche in studio di Jimmy Page per il Remasters dei Led Zeppelin.

Gli ex compagni delle medie conversano su Whatsapp al ritmo battente di centinaia di messaggi al minuto, gioiosi e lieti di questa ritrovata compagine. Io per vari motivi non ho Wapp e in un primo momento ho preferito tenermi un po’ alla larga dalla faccenda, non per disinteresse ma perchè guardo raramente indietro nel mio passato, dopo 30 anni di lontananza si è praticamente dei perfetti sconosciuti, la cosa non mi ha stimolato entusiasmo in tutta onestà. Però confesso che mi hanno incuriosito le motivazioni che possono spingere qualcuno a fare un salto così drastico nel passato remoto. Questi raffronti con il tempo che passa sono talmente intimi che ognuno li vive a modo suo, ricordando ciò che preferisce o di cui ha effettivamente memoria, con il suo punto di vista sugli eventi. Io ad esempio ho rimosso un buon 85% dei compagni di scuola media: all’epoca ero un minchione e non mi va di ricordarmi e autocelebrare la minchionaggine adolescenziale; per i miei ritmi tre anni quali quelli delle medie erano e sono tuttora pochi per instaurare un’amicizia degna di tale nome; poi ho cominciato a ricordare la fauna variopinta della San Giorgio del Sannio di metà anni ’80 (roba da pre-irruzione della modernità, per intenderci…) e ho affrontato la rimozione come il solo, privilegiato ed elitario meccanismo di difesa.

Ieri sera c’è stato finalmente il grande incontro. Se volessi liquidarlo in una sola battuta, direi che è stato assai positivo. Positivo e soprattutto sorprendente, nel senso che mi aspettavo di peggio, cioè ricordi e nostalgia, accoppiata che poco mi coinvolge. Invece è stata una serata davvero molto piacevole, trascorsa tra lievi imbarazzi (il Dio della Memoria mi fulminerà ma Annalisa Marallo, Rosaria Muscetta e Carmelina Genito non le ricordavo!), battute, pochi aneddoti dei vecchi tempi – menzione speciale per un Danilo Maffei in gran forma come narratore dalla memoria folgorante, ma come fa? – e quella strana sensazione tra familiarità e occasionalità, come se tutto fosse stato un fugace e enigmatico sfogliare un album di fotografie. Io non sono un cultore di incontri con molta gente, non mi piacciono i volumi alti, preferisco chiacchierare con calma con pochi intimi per capire, ri-conoscere e farmi le mie impressioni, ovviamente ieri sera non è stato possibile, anche se custodisco con piacere la sensazione di “sotto gruppo” creatasi a bordo tavolata con Giuseppe Carrozza (amico forte dalla prima elementare, simpatico come sempre e positivo), con Carmen Serino (non me ne voglia ma non avevo più pensato a lei dal 1989, poi ieri è arrivata e appena l’ho vista mi sono ricordato che è in una foto della prima elementare, sempre simpatica e colloquiale), con Michele Manco che ho letteralmente scoperto (ricordavo solo il nome ma non la faccia, e mi ha aperto il mondo della speleologia con una dovizia di particolari da Grande Enciclopedia delle Grotte). Mi spiace molto non ci siano stati amici speciali – quelli delle Grandi Esperienze – come Antonio Rinaldi e Luigi Mastromarino, lontani fisicamente ma spero non spiritualmente.

Presto scriverò altre cronache dal Ristoro del Viandante, stamane la mia attenzione si è soffermata su una sensazione latente, che evoca un interrogativo. Siamo tornati a quel ventre caldo e sicuro che era l’adolescenza? Lo era davvero? Minchia Question di caratura superiore, alla quale risponderò nelle prossime puntate. Ora torna prepotente la domanda di prima: tu cosa fai? Fare è essere, come tutti io sono ciò che faccio, ciò che penso, ciò che dico, ciò che realizzo e compongo. Il confronto con il passato offre nuove prospettive alle risposte. Eppure quel passato che magari ti ostini a rifiutare c’è, è lì: la mole di impegni che hai ti fa vivere in un eterno presente, la quotidianità ti spinge ad attraversare senza guardare indietro questo strano laboratorio del futuro che è il tempo, guardarsi indietro chiude cerchi e ne riapre di innumerevoli.
Chi sei? Cosa fai? Vorrei tanto placarle un attimo queste domande, poi senti che arriva il desiderio dell’ennesimo caffè, ti alzi per scendere al bar e incroci ancora una volta targhette, libri e premi che ti incatenano all’Ego, ma vedi anche che c’è un pupazzetto verde e capisci che sei nel divenire. Quello di una pupina di 6 anni che ti ha regalato un portafortuna per quando sei lontano da casa.