Chi segue con attenzione la vicenda di Claudio Baglioni dai primi anni '90 ad oggi conosce molto bene Paolo Gianolio. Non un semplice musicista, non solo un fido sparring partner, il chitarrista emiliano è l'anima e la mente delle varie band baglioniane, di cui è direttore musicale. In particolare dal vivo, negli arrangiamenti sempre sorprendenti e raffinati, la zampata di classe del nostro è evidente. Lo stesso sapore caratterizza Tribù di note, il suo secondo Lp solista in cui compaiono anche due habituè baglioniani come Pio Spiriti e lo splendido Gavin Harrison. Un lavoro signorile, sofisticato, che coniuga jazz-fusion, world music e cultura acustica con garbo, vivacità e sensibilità. Il panorama totalmente strumentale al quale Gianolio si dedica – ben diverso da quello cantautorale  – non soffre per l'assenza vocale, tutt'altro: il chitarrista cattura l'attenzione con efficaci temi melodici, swinga e ammalia,  rivelandosi piacevole nelle influenze, da Metheny a Django. Una gran bella sorpresa.

http://www.paologianolio.com

Imprevedibile interludio di contaminazioni. Ricordo con piacere Il giardino delle delizie, disco di Vito Ranucci risalente al 2006. Mi intrigò la sua voglia di uscire da una scrittura convenzionale, di unire generi alti e bassi senza complessi di inferiorità o pretese intellettuali. Con slancio e convinzione il nuovo album Dialects completa quell'originaria intenzione, evidentemente favorito dal lavoro per Le rose nel deserto: il contributo alla colonna sonora dell’ultimo film di Mario Monicelli ha conferito maggior sicurezza al compositore e fiatista napoletano, abituato a lavorare con l'immagine. Dialects vede esplodere influenze e desideri: attraversando il nu-jazz nordeuropeo e il trip-hop in salsa Portishead, Ranucci non ha timore di cimentarsi con Bach (la corale della Passione) accostandovi Carmela di Sergio Bruni. Se Napoli e la contemporaneità hanno qualcosa in comune, questa è proprio la convivenza di culture: Ranucci la incarna completamente.

http://www.vitoranucci.com/

Back to six strings wonder. Marcio Rangel è un prodigio. Diverso dal collega Gianolio per impostazione e obiettivi, lontanissimo da Ranucci perchè focalizzato – quasi ossessivamente – sull'interpretazione chitarristica, il giovane musicista brasiliano sfrutta abilmente la sua caratteristica fisica, facendone un marchio. Un mancino che suona una chitarra da destro (tanto per farla breve: corde basse in basso, alte in alto…), supportato da piacevoli intuizioni sia melodiche che ritmiche, giunto alla quarta ristampa di Palavras do som. E' un eccellente lavoro tra jazz, samba e vaghe reminiscenze blues per sola chitarra classica, con qualche capatina elettrica che aggiunge un inevitabile tocco di varietà. Passionale, virtuoso e coinvolgente, Rangel è fascinoso come pochi chitarristi della sua generazione.

http://www.myspace.com/marciorangel