Quando scrissi il mio primo libro su Lucio Battisti, incentrato sulla vicenda del disco Amore e non amore, la cosa più divertente fu il capitolo sulla censura musicale in Italia. Un argomento troppo succulento, al quale dedicai un intero capitolo, consapevole che sarei andato fuori tema, ma poco importava.

Facevano sorridere – amaramente – gli interventi della famigerata commissione d’ascolto, un organo fantasma che in quanto tale non verbalizzava, non lasciava tracce insomma. Non si potevano usare parole come alcova, amplesso, ascella, casino, delitto, parto, sudore, talamo, vizio e verginità. Cosce era consentito ma solo per il pollo. Al posto di intestino si doveva usare organismo, alla larga anche piedi, uccello, divorzio, amante. Membro del Parlamento era pericoloso, meglio usare componente; in seno alla commissione era pruriginoso, meglio dire all’interno.
I casi di sforbiciate o cancellazioni di Tu vuò fa l’americano di  Carosone, Mi sono innamorato di te di Tenco, Dio è morto dei Nomadi o Dio mio no sono noti, ma la censura si è espressa in vari modi e con vari gradi di intensità.

Uno degli autori più esperti in materia è Maurizio Targa, che all’epoca aveva pubblicato L’importante è proibire, piccolo ma prelibato testo di riferimento. Una dozzina di anni dopo è tornato, stavolta con Arcana, con un lavoro aggiornato ai tempi del politicamente corretto e della cancel culture. Ai tempi in cui zingaro non si può dire, meglio usare sinti itinerante…

L’intervista del mercoledì su Jam TV è con lui:

Musica e censura secondo Maurizio Targa