Agli sgoccioli degli anni ’80 avevamo un MSX, un affare grande così ideale per i videogame.
Era un trampolino di lancio per spericolate avventure arcade, nonostante dietro lo schermo fosse tutto un ghirigoro penzoloni. La domenica compravamo le cassette in edicola, ogni settimana c’erano giochi nuovi ma la cosa più estenuante era l’attesa per caricarli. Per zittire le testine pachidermiche dovevamo alzare per bene i volumi.

Quante cassette in quel periodo, una sfida di nastri tra il computer che sfrigolava per lanciare il gioco dei vampiri, oppure le olimpiadi, o le astronavi, e lo stereo fiammante nel quale alternavamo Led Zeppelin, Ozzy Osbourne e Iron Maiden. Il titolo più gettonato era Dalla/Morandi.
Quando partiva Vita in te ci credo/Le nebbie si diradano l’MSX cominciava a carburare: sul coro sognante di Felicità il gioco era quasi pronto. La musichetta plasticosa di sottofondo era così irritante che staccavamo il sonoro, Lucio e Gianni proseguivano imperterriti con la loro sagoma a calzoncini corti.

Ancora oggi penso all’interminabile corridoio del salto in alto accompagnato dalla erre di Guccini in Emilia, all’esplosione delle navicelle nemiche suggellata da quel curioso effetto straniante di Morandi che cantava Battiato – il titolo era un po’ sospetto: Che cosa resterà di me. Grazie a Giubbe Rosse – il cd spesso, quello col bordone nero – avvenne la scoperta: il brano si chiamava Mesopotamia.

In Che cosa resterà di me Franco aveva scritto di scelte passionali, saggezza del popolo e atmosfere emiliane, fisiologia d’ordinanza per Morandi, mistero piegato alla evidenza nazionalpopolare. La sua versione invece era abitata da una costellazione di sapienti controcorrente.

Nella costituzione del mio immaginario convivono ancora la filigrana sabbiosa di Ghirri, il gatto e il re, le rughe un po’ feroci sugli zigomi, il passaggio occulto di Mesopotamia:
Mi piacciono le scelte radicali
La morte consapevole che si autoimpose Socrate
E la scomparsa misteriosa e unica di Majorana
La vita cinica ed interessante di Landolfi
Opposto, ma vicino a un monaco birmano
O la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli