Su questo strabenedetto libro su Harry Smith non c’è uno stramaledetto spazio vuoto per scrivere: sarebbe stato un gesto simbolico perfetto. A dire il vero avrei potuto scrivere nella terza di copertina ma odio la carta flessibile: da grafoesteta quale sono preferisco il cartone rigido, così fermo e rassicurante per chi si bea della sua grafia.

E così mi trovo nella più bieca e stereotipata immagine da scrittore romantico squattrinato, chiuso nella sua pulciosa camera d’albergo, in preda all’irresistibile demone dell’ispirazione, scarmigliato e chino a scrivere su un fazzoletto di carta… Cliché a parte, questo fazzolettino scappa e fugge da ogni angolo ma sia benedetto.  Come Firenze. Benedetta dagli dei, graziata dal sole, dal cielo e da tutti coloro che vi hanno donato fantasia, ispirazione, creatività, rigore. Firenze luogo di incontri speciali, dei quali racconterò approfonditamente molto presto, perchè se è vero che la vita è l’arte dell’incontro, l’incontro è il laboratorio del futuro.

Stasera, dopo una felice presentazione del mio nuovo libro in Melbookstore e due lunghissimi passi in una frizzante serata all’inseguimento di luci lontane e profumi familiari, gira che ti rigira entro nell’ennesima libreria. Dopo un bel caffè fiorentino (insieme a Trieste, Firenze è la città dei migliori caffè, fatta eccezione per il baraccio del dopolavoro ferroviario alla stazione di Napoli – deep esoteric place – che considero l’enclave della caffeina) salgo al terzo piano e vado a prendere i due libri che mi stavano chiamando. Musica primitiva di Marius Schneider e Harry Smith. American Magus di Paola Igliori. Siano benedette Adelphi e Arcana.

Ce li ho qui in bella vista accanto a me ora, in camera: severo e austero il primo, cazzeggione e folleggiante il secondo. Di fronte a me la tv accesa nessuno sa perchè, guarda un po’ su canale Italia 53, programma C’era una volta, speciale su Lucio Battisti, proprio sul 1971 che ho raccontato con gioia nel mio libro l’anno scorso. Quel presentatore segaligno con baffetti invisibili e voce da minchione è da antologia del kitsch. Sia benedetta Pensieri e parole.

PS.

In Piazza della Repubblica, di fronte al caffè Paskowski, quello che Tiziano Terzani bambino rimirava con stupore e invidia, una ragazza è seduta da sola su una panchina. Scatta il romanziere fallito (rectius: abortito) che è in me: perchè non scrivere un romanzo su un incontro magico nella notte fiorentina tra un lui allo sbando e una lei alla ricerca? Scintilla subito affievolita ed entrata d’ufficio nel cassetto delle idee per potenziali romanzi. Cassetto pieno zeppo, roba che Simenon, Bevilacqua e Pennac (ma che trio è?) mi farebbero una pippa.

Ma aprire il cassetto e cominciare a scrivere qualcosa che non riguardi la musica mi è difficile. Arduo. Impossibile. So già che pigrizia, tempo e altre scintille me lo impediranno. L’unica cosa che mi consola è sapere che ho accumulato tanto di quel debito verso chi governa le nostre vite (e non mi riferisco a Monti) che alla fine di questa ce ne saranno altre da impiegare scrivendo. Molti romanzi verranno, karma permettendo. Love and do what thou wilt.
E c’è ancora spazio sul fazzoletto…

Firenze, 13 aprile 2012