Il saggio dice che bisogna bere il proprio tè lentamente, con riverenza, come se fosse l’asse intorno al quale ruota la terra.
Il saggio però non sa – anzi lo sa bene, per questo è saggio – che ci sono cose che fanno irrimediabilmente capitolare. Una di queste è la richiesta di portare oggetti sacri tipo dischi e libri per parlare di musica.
Quando l’associazione 34mo Fuso mi ha invitato a parlare di musica in un incontro dedicato all’archeologia, mi sono subito tuffato a caccia di reperti nella National Zoppo Library e ho ritrovato la ristampa di ‘Non sparate al cantautore’ di Claudio Bernieri. Pubblicato nel 1978, ripubblicato una decina d’anni fa da Vololibero: un autentico mosaico tra il reportage militante e il situazionismo, con tutto il mondo musicale dei nostri anni ’70 intervistato con l’inganno – d’altronde la verità deve venire fuori in qualche modo, a partire dal registratore occultato come faceva Oriana Fallaci.
Ho riletto così l’approccio indottrinato degli Stormy Six, le piccole grandi nevrosi di De Gregori, lo sguardo lucido da battitore libero di Bruno Lauzi, il disincanto fittissimo di Gianni Sassi e tante altre chicche di un’Italia così lontana da quella attuale.
Ieri sera al Museo Castromediano ci siamo divertiti passando dal carapace antico che dava vita alla lira di Ermes alla dissertazione sul perché dei Maneskin, dalla doppia ancia rituale alle zie di Pino Daniele a Santa Maria La Nova. Birretta culturale, si diceva nel programma: un po’ diversa dal tè di Thich Nhat Hanh, ma anche lui invitava a non affrettarsi nel futuro.