Il borghese non si chiede se le cose che sono possano essere anche in altro modo.
Il borghese crede di conoscere tutto ciò che si può conoscere, senza mettere in discussione come e cosa conosce.
Quando si è malati di borghesite – così la chiamava De Andrè, ricordato da Federico Premi in un saggio sano e formativo – si vive trincerati nel proprio fortino di insulse sicurezze. Mai dubbi, mai messe in discussione, mai dialogo, solo ossessiva tutela del proprio benessere e della propria ignoranza. Non sia mai guardare altrove, si scoprirebbe quel mostro inaccettabile che è l’altro da sé.
De Andrè ci ha insegnato anche questo, ed è il filo conduttore del libro sulla Buona Novella di Mario Bonanno, che di testi sulla canzone ne ha scritti tanti e belli. Bonanno osserva i cantautori da svariati punti di vista, dando spazio e tempo e peso a tanti colleghi saggisti, provando a tessere una narrazione corale, come realizzato da Iossa e Aymone nei loro lavori Hoepli su Rino Gaetano e Pino Daniele. Quando l’altro da sé e la curiosità porgono la mano al lettore.
Ieri sera la PFM – che la Buona Novella ha plasmato nel 1970 e rimodellato nel 2010 – era a Prato per il concertone incentrato sul disco di De Andrè. Stasera avremo a Piombino per Covergreen Franz Di Cioccio e Patrick Djivas (che non c’era ancora ai tempi dell’album ma era in gran forma quarant’anni dopo per il remake) per raccontare anche questa storica collaborazione.
Canzone d’autore e grande rock faccia a faccia, orecchio a orecchio, spugna a spugna. Altro che borghesite.