Quando studiavo giurisprudenza, negli abissi imperscrutabili di metà anni ’90, trionfavano le divise.
Tanti miei colleghi di facoltà, incravattati e fieri con la valigetta, erano avvocati dentro nonostante la sfilza di esami dinanzi a loro. Io invece indossavo la divisa d’ordinanza rock, chioma lunga, barba, borsa con adesivi metallari, orecchini. Fu grazie a questi ultimi che superai diritto civile. L’esaminatore era un notaio canuto, compresi subito che era il caso di legare i capelli e sgomberare le orecchie, lui notò che giocherellavo con i cerchietti appena sfilati dai lobi e si illuminò: “Bravo! Bravo. Ha tolto gli orecchini, complimenti! Pensi che mio nipote a Natale si è permesso di farmi gli auguri senza toglierli…”. Fu così che beccai un inatteso 20.
La media oscillava tra i 18 strappati a forza dopo vari compromessi – memorabile la trattativa con l’assistente di Economia Politica, ammorbiditosi perchè beatlesiano – e i 18 octroyée, concessi con magnanimità dinanzi a un caso disperato. Unica eccezione gli esami di diritto internazionale: amavo così tanto quella materia che collezionai un filotto di 30 (in un paio di casi con lode). Non studiai volutamente la monografia di Relazioni Internazionali, tanto che il prof Pennetta apprezzò la sfrontatezza (ma alla fine si aprì: “Ha ragione, quel libro è acqua fresca”).
Mi incuriosiva l’onomastica paludata, con nomi polverosi che maldisponevano alla lettura come Gaetano Arangio-Ruiz, Francesco Filomusi Guelfi e Temistocle Martines. Una volta firmai con entusiasmo una petizione segretamente redatta da una innominabile associazione studentesca per fare un paliatone all’odiato prof di diritto privato. Ma è bene tenere celata questa storia.
Molto più bella quella della curiosità per la Costituzione, per l’affascinante gioco di pesi e contrappesi che la struttura, per la storia resistente che la ispira. Negli ultimi venticinque anni ho prediletto lo studio metafisico accanto a quello musicale, da qualche tempo sono tornato ad antiche letture. Come ammoniva Jakob Böhme, non devi fare nulla, ma abbandonare la tua volontà alla disposizione. Siamo in ascolto.