Dove eravamo? Dove eravamo quando Copernicus, nel buio della downtown newyorkese, affidava a latrati, grugniti e slanci lirici il suo onirico j'accuse? Dove eravamo quando il poeta di origine polacca pubblicava il suo secondo lp, dietro al quale c'era scritto “What kind of record is this”? Una domanda lancinante, alla quale Nevermore Inc. e Moonjune provano a dare risposta con un piano di ristampe che rendono giustizia a Copernicus, “performance poet” che vive nell'hic et nunc del live, “beatnink/punk poet” i cui dischi non sono altro che resoconti di fiammeggianti esibizioni al fulmicotone.

“Victim of the sky” è il secondo lavoro di Joseph Smalkovski: un vero e proprio fenomeno underground che debuttava nel 1985 con “Nothing exists” e che, nello stesso anno, portava nello Studio C degli RCA a NYC un'orchestra rock-jazz per registrare dal vivo questo nuovo lp. Libertà dal conformismo e dalle convenzioni, spiritualità e politica, visioni e sogni: Copernicus è affabulatore surreale e fabbro di una parola tagliente, penetrante, “materiale” nella sua forza simbolica nonostante l'improvvisazione verbale, non solo strumentale.

La sua voce baritonale e teatrale – quasi un crooner lisergico, un Van Morrison post down – attraversa la canzone folk-rock (“The wanderer”), la fusion anni '80 (la title-track) e il reggae (“Desperate”). All'attesa tutta coltraniana di “White from black” e al peana post-dylaniano di “The lament of Joe Apples” si oppongono – in un contrasto speculare – il raptus hardcore di “Not him again!” e l'art-rock di “In terms of money”.

Una testimonianza importante, per quanto datata, “ruspante” e selvatica, utile però alla scoperta di questo artista così sui generis.

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D.Z.